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Saggio sulla “Ricchezza della Nazione” con riferimento alla Sicilia

Giorno 4 sono invitato, nella mia qualità di docente ordinario di materie economiche, dalla Banca d’Italia – Sede di Palermo, alla consueta Relazione sulla situazione economica della Sicilia. Quest’anno si tiene a Trapani, presso la Sede della Prefettura. Dopo i saluti istituzionali, ci sarà una Relazione, una breve tavola rotonda e le conclusioni del Commissario dello Stato, che dal 2011 ha perso in Sicilia gran parte delle proprie funzioni di controllore ex ante della legislazione regionale.

In passato, preso da mille cose più urgenti, confesso di aver sempre sottovalutato questi inviti. Detto in breve, non sono mai andato. Quest’anno voglio invece ascoltarli. Palermo ha l’onore – puramente formale, va detto – di essere titolare di una “Sede” e non di una semplice filiale o agenzia della Banca d’Italia. Ha una “Sede” come vestigio di quello che fu: una capitale di una Nazione, sede di un istituto di emissione monetaria.

Oggi la Banca d’Italia è a sua volta longa manus della Banca Centrale Europea. Chi mi viene a parlare della situazione economica siciliana è quindi, in altri termini, la stessa BCE, per “interposta azienda”. La “nazione” siciliana, e la sua “ricchezza” sono quindi ancora obiettivo di politica economica e oggetto di analisi al massimo livello istituzionale. Beh, quale onore direi… Vanno certamente ascoltati, e quindi non ho anticipazioni in merito da fare.

Giurerei che qualcosa diranno sul leit-motiv della “sostenibilità”, vedremo.

La tavola rotonda non è libera. Si va lì per ascoltare e basta.

Mi sono chiesto, però, cosa avrei detto, cosa direi, se per avventura mi dessero la parola.

Intanto, penso per un fatto del tutto congiunturale e tecnico, la Sicilia ha visto quest’anno (2023) il primato nella crescita del PIL (+2,2%) rispetto a tutte le altre regioni, persino del Mezzogiorno (+1,3%) che quest’anno ha superato nettamente il Centro-Nord. Contento di questo risultato, non voglio però darvi troppo peso. Per ora è un “punto fuori dal grafico”; se diventerà nei prossimi anni un fatto strutturale, lo analizzeremo. Nel frattempo asteniamoci da commenti trionfalistici, che potrebbero rivelarsi prematuri.

Se mi dessero la parola, dicevo, non farei discorsi anti-sistema. Non parlerei male delle istituzioni esistenti, dell’Eurosistema, della UE, del colonialismo interno all’Italia, di Agenda 2030, del WEF. Non si fa. Sono in casa d’altri. Sarebbe come tirar fuori brutalmente il tema delle cause geoingegneristiche dell’attuale siccità devastante: si passa per “complottisti” e il discorso si chiude prima di iniziare.

Farei, invece, un discorso per “linee interne” al sistema. Dando per scontato che la cornice istituzionale nella quale ci moviamo sia una cornice onesta e leale. Non sarei sincero fino in fondo? Non sempre si può esserlo. Il discorso deve sempre essere “opportuno” (kairòs dicevano gli antichi retori) rispetto all’uditorio.

Direi, brevemente, questo.

“Buonasera,

ringrazio gli organizzatori per avermi dato la parola e le uditrici e gli uditori per l’attenzione che vorranno prestarmi.

A mio semplice avviso, non può parlarsi di prospettive dell’economia siciliana tacendo sulla catastrofe ambientale che stiamo vivendo in questi tempi apocalittici. Il combinato verificarsi di una siccità senza precedenti, dell’irrisolto problema dei roghi estivi, nonché di tutto ciò che attiene alla salvaguardia e manutenzione del territorio, come ad esempio la raccolta dei rifiuti o la depurazione degli scarichi, stanno trasformando, anzi, meglio, “degradando” la nostra Sicilia in modo purtroppo forse irreversibile. Il simbolo di questa tragedia che si sta consumando sotto i nostri occhi impotenti è il prosciugamento del Lago di Pergusa, l’unico lago naturale siciliano! Il mito voleva che dalle sue acque limpide avrebbe fatto irruzione Ade per rapire la bella Persefone che passeggiava in quello che allora doveva essere un paradiso terrestre. Ora quella magia si sta spegnendo sotto i nostri occhi, e forse per sempre. Piangerà anche il cuore quando sentiamo del prosciugamento del Lago Ciad o del Lago Aral. Ma, ammettiamolo, un conto sono fatti percepiti come lontani, altro è quando la devastazione bussa a casa tua.

Non pensino gli astanti che sto parlando di poesia o di mitologia, no! Sto parlando di economia, di brutali rapporti di forza economica, di “ricchezza della Nazione”, come avrebbe detto il Maestro Smith.

Perché, se manca l’acqua, si ferma tutto. L’ambiente naturale si trasforma in deserto, animali e piante muoiono…. Agricoltura e pastorizia non daranno più il loro prodotto. Senza il loro prodotto, si spegne anche la fiorente e unica al mondo industria agro-alimentare, alla quale siamo affezionati, forse prima ancora che materialmente interessati. Con l’aridità fioccano le disdette nel turismo. Con il crollo del sistema primario, a cascata, come in un domino, le attività industriali, commerciali, di servizi, pubbliche, no-profit, finiscono per essere travolte.

Qualunque discorso sulle prospettive economiche della Sicilia, quindi, deve mettere al primo posto la conservazione dell’acqua e il mantenimento e miglioramento degli equilibri ambientali. Il resto è intrattenimento.

Non è nostro compito indagare sulle cause lontane e vicine di questo scempio. Su questo, oggi, il fronte delle idee è assai diviso. Anch’io in materia potrei esternare le mie idee, e forse queste sembrerebbero eterodosse rispetto alla vulgata predominante. Ma ciò servirebbe solo ad alimentare una inutile polemica; inutile perché si tratta di livelli di governance che allo stato sono molto, molto più in alto del livello regionale.

Noi, però, non possiamo baloccarci in inutili polemiche. Dobbiamo individuare, con estrema urgenza, quali sono le politiche territoriali da porre in essere, cercare su di esse il massimo consenso senza inutili propagande partitiche, e soprattutto individuare dove è più opportuno reperire le relative risorse.

Per tutto ciò che abbiamo detto, la Sicilia ha un bisogno disperato di investimenti specifici. Abbiamo bisogno di creare bacini dove allocare le risorse idriche in eccedenza nei periodi di pioggia e da cui redistribuirli nei momenti di siccità. Abbiamo bisogno di dragare le dighe, stracolme nei loro fondi di detriti alluvionali su cui nessuno ha mai investito seriamente. Dobbiamo censire ed utilizzare razionalmente tutti i pozzi. Dobbiamo migliorare le condotte idriche per ridurre sempre più le dispersioni. Dobbiamo, laddove possibile ed economico, investire in dissalatori. Ma è tutto il territorio che deve essere oggetto di una grandiosa opera di riqualificazione. Non c’è solo il problema dell’acqua. Dobbiamo una volta per tutte capire qual è il miglior ciclo di vita dei rifiuti e quindi il loro trattamento. Dobbiamo avviare una operazione straordinaria di bonifica delle infinite discariche abusive e di pulizia degli argini. Dobbiamo gestire le operazioni antiincendio in modo professionale e non più clientelare/assistenziale. Dobbiamo avviare un programma sistematico di rimboschimento. Dobbiamo riqualificare le coste e soprattutto gli scarichi a mare. Dobbiamo lottare senza quartiere l’abusivismo, offrendo a quello di necessità alternative abitative sane. Non dobbiamo ricoprire di polistirolo fragili costruzioni di cemento armato, ma riscoprire la nostra edilizia tradizionale, come quella dei nostri centri storici, fatta di materiali solidi ed energicamente sostenibili, senza bisogno di inseguire politiche “green” pensate in un contesto climatico e socio-economico lontano come la Luna da quello nostro. Dobbiamo investire sul trasporto pubblico, su rotaia, su gomma, sul mare. Dobbiamo recuperare il decoro urbano: ci sono ancora troppi “eco-mostri”, incompiute, ma persino marciapiedi e strade abbandonate al naturale degrado, dove ora si creano ciclopiche buche, ora crescono arbusti trascurati da tutti, e questo anche nei centri delle nostre più grandi città.

In una parola la Sicilia ha bisogno di un’ondata di investimenti senza precedenti.

Basterebbe questo, nonché l’attuazione integrale dello Statuto, con la possibilità di uno status finanziario e fiscale speciale nel nome dell’insularità, per risolvere quella che è ormai una vera Questione nazionale.

Ma concentriamoci sugli investimenti.

Gli investimenti possono essere pubblici o privati. Quelli privati non possono, se non in minima parte, occuparsi delle priorità che abbiamo sopra delineato. Lì si possono incentivare, ma non è mai risolutivo. Quelli pubblici … costano. Da dove prendere le relative risorse?

Le risorse pubbliche possono avere, in buona sostanza, tre fonti: i tributi, il debito, la moneta.

I tributi…. Che significa? Significa porre a carico della fiscalità generale italiana un piano di investimenti di almeno 5 miliardi di euro l’anno per i prossimi dieci anni? Sarebbe né più né meno quanto ci spetterebbe per diritto dall’art. 38 dello Statuto. Ma mi metto nei panni del contribuente italiano. L’Italia è già troppo “stressata” fiscalmente per sopportare ulteriori sforzi per la sola Sicilia. Sì, ci sarebbe la coesione economica e sociale, la leale collaborazione tra Stato e Regione, l’Insularità, i diritti previsti dallo Statuto speciale. Ma la cruda realtà è che l’Italia, come sistema, non è disposta ad investire praticamente nulla sul disagio siciliano, nemmeno ora che sta diventando una tragedia. E la Sicilia non è stato a sé, non potendo quindi disporre di quegli strumenti finanziari di cui solo uno stato dispone. Facciamo parte politicamente dell’Italia, piaccia o no, e  matre o matrigna che essa sia, è questa che deve allo stato farsi carico della Questione Siciliana. Potrebbe – è vero – dirottare i fondi stanziati per il Ponte sullo Stretto, almeno per i primi anni. Il ritorno sarebbe incomparabilmente più utile, più urgente, più sostenibile. Ma ciò attiene ad una volontà politica che oggi non c’è. E la stessa politica siciliana egemone oggi, per subalternità culturale o per immaturità, è abbagliata da questo mito, non avvedendosi delle effettive priorità.

Il debito… forse sì. Lo Stato o la Regione dovrebbero essere autorizzati a indebitarsi per la realizzazione di investimenti ultra-produttivi come quelli delineati. L’investimento non realizza solo politiche keynesiane dal lato della domanda. Non serve solo per sostenere un momento congiunturale difficile. L’investimento sposta in avanti la capacità produttiva, quindi agisce dal lato dell’offerta. Alla fine si è più ricchi tutti, e il maggior reddito che ne deriva crea maggior gettito che alla fine ripaga l’investimento.

La moneta… Oggi lo Stato, e men che mai la Regione, non può immettere moneta nel sistema. Lo faceva surrettiziamente la Regione, nella Prima Repubblica, per mezzo del Banco di Sicilia. E nessuno ne soffriva. Ma – oggi siamo in casa sua – potrebbe farlo certamente la BCE e la Bd’I che si concerti con quella.

La moneta non crea inflazione se i fattori produttivi sono sotto-utilizzati. Con la spaventosa disoccupazione esistente in Sicilia, un’immissione di denaro puro e gratis (helicopter-money) sarebbe oggi risolutivo.

Ma la BCE ha davvero a cuore le sorti di questa antica ex-nazione europea?

Secondo me dovrebbe, quanto meno per interesse, se non per amore. La società deve percepire che l’integrazione porta benessere, altrimenti l’implosione del sistema non potrà mai essere esclusa a priori.

I Siciliani, prima dell’abbraccio con l’Italia, erano uno dei popoli più ricchi al mondo. Qualcuno spieghi loro perché oggi devono essere il fanalino di coda in tutto.

Grazie per l’attenzione”

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