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Perché gli indipendentisti siciliani devono difendere la sopravvivenza e l’uso del contante

Euro

Bisogna tenersi lontani dalle polemiche che circondano l’attuale dibattito e i provvedimenti sull’uso del contante. L’attuale governo, peraltro in maniera alquanto demagogica ha annunciato innalzamenti nell’uso del contante per le transazioni e nei limiti al di sotto dei quali l’esercente può ricusare l’uso della moneta elettronica.

Ovviamente sarebbe una questione di soglie e di buon senso, se il dibattito non fosse avvelenato dalle prese di posizioni ideologiche. E ancora, su questi provvedimenti pare che il Governo, con la coda tra le gambe, si stia rimangiando tutto per paura della UE.

Noi potremmo anche dire che un limite posto a 5.000 euro per singola transazione o a 50 euro per la ricusazione della moneta elettronica sono soglie accettabili e ragionevoli, ma il problema è più generale e va affrontato da un’ottica indipendentista.

Intanto dobbiamo dire che la moneta di emissione privata o bancaria ha progressivamente soppiantato la moneta pubblica o “cash”, ridotta ormai ad usi divisionali o minimale.

Sembra di assistere alla stessa storia che, un tempo, si svolse tra la moneta metallica e quella cartacea.

Al 1860 si stima che il 90% della moneta in circolazione in Italia fosse metallica, e il resto cartacea, curiosamente quest’ultima concentrata soprattutto nei cosiddetti “titoli apodissari” emessi dai due banchi pubblici meridionali, quelli che poi sarebbero diventati il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Circa 60 anni dopo, alla vigilia del I conflitto mondiale, questo rapporto si era capovolto, con il metallico ridotto ad appena il 10%, mentre cominciavano a diffondersi i primissimi movimenti con la cd. moneta bancaria, allora considerata puramente fiduciaria, il resto tutto svolto dalla carta moneta, che visse da allora alla fine del Novecento il suo momento migliore.

L’introduzione dapprima della carta di credito, poi del bancomat, e infine di molti alti strumenti di moneta elettronica, sempre più incorporati nello smartphone, hanno fatto fare alle banconote, su scala, la fine delle monetine. Qualche anno fa si stimava la percentuale di moneta contante in Europa in non più del 3% della moneta globale in circolazione (e di questa quella metallica ormai del tutto trascurabile). Ma, da qualche anno a questa parte, è partita nell’Impero Occidentale una vera e propria crociata mirata a fare sparire del tutto questo strumento di pagamento.

Dobbiamo capire perché e capire se in un’ottica non solo di efficienza o di ordine pubblico, ma anche di libertà e di convenienza economica, se questa sia una conquista o una perdita.

Ci sono molti elementi, anche pratici, che hanno spinto verso l’uso della moneta elettronica. La maggior semplicità, e il minor costo, a livello sociale (ma non per il consumatore), così come la lotta all’evasione, al riciclaggio, etc. Non vogliamo ripetere le motivazioni mainstream per il fondo di verità che esse contengono.

Ci sono però elementi meno appariscenti nella differenza tra contante e moneta bancaria che sono troppo spesso occultati.

Primo: per il cittadino o per l’imprenditore, a parte la custodia e la gestione della moneta fisica, il contante è gratis, non si svaluta da una transazione all’altra. L’uso di una banconota non sconta mai alcuna commissione ad ogni transazione. Una banconota da 100 euro vale sempre 100 euro ad ogni transazione, come un lingotto d’oro. L’unico modo di eroderne il valore è il livello generale dei prezzi, ma il suo valore nominale è intangibile. La moneta bancaria, in mille modi, è soggetta ad infinite piccole commissioni e spese da parte dei suoi gestori, che la erodono in continuazione. Alcune di queste commissioni agiscono ad ogni transazione, e sono inevitabili, perché chi eroga un servizio privato ha diritto ad esserne compensato. Ma queste commissioni, sulle transazioni minori e minime, diventano vessatorie, parassitarie e odiose. E poi, anche se la teniamo inoperosa in un conto corrente come riserva di valore, il gestore può sempre aggredirla in mille modi, modificando unilateralmente i termini dei contratti secondo l’art. 118 del TUB, facendo cartello tra operatori bancari, accampando costi di gestione o altro. Il vero fatto è che la moneta bancaria la possiamo usare in modo molto comodo ma non è nostra. Le banche ce ne concedono l’uso, e, seppure in piccola parte, se ne appropriano progressivamente.

Se la Sicilia, autonoma o indipendente, potesse “battere” la propria moneta, la quota di questa lasciata emettere al settore privato, verrebbe progressivamente e parzialmente sottratta all’economia siciliana, come un ulteriore invisibile balzello. Ma anche nell’attuale condizione, la quota di moneta contante usata dai Siciliani nelle loro transazioni, non è soggetta ad erosione, ed è per questo preferita nelle transazioni marginali. I costi “sociali” della gestione del contante, peraltro, sono scaricati o sulla banca centrale, che siciliana non è allo stato, o sulle banche, che hanno quasi sempre la loro centrale fuori dalla Sicilia. In termini economici, per il sistema “Sicilia” il contante è uno strumento di pagamento attualmente più economico di quello della moneta bancaria.

Secondo: la moneta bancaria non è pubblica, è privata. Chi emette la moneta lucra un legittimo reddito da questa potestà di emissione, detta signoraggio. Nella moneta bancaria il reddito di signoraggio, seppure bene occultato nei bilanci bancari, va ai privati anziché al pubblico.

In breve, funziona così: il sistema economico (produttori, consumatori e pubblica amministrazione) ha bisogno di moneta per regolare le transazioni interne e per gestire l’import/export. Per averla si rivolge al settore bancario, che crea dal nulla la moneta e la presta al sistema, chiedendo poi un interesse. Almeno per la moneta bancaria. Se la Sicilia non ha più banche, questo “prestito” non viene dall’interno dello stesso sistema, ma è costretta, nel suo complesso a pagare un signoraggio al settore privato esterno all’Isola.

In verità anche per il contante il signoraggio non va a noi, ma al Tesoro della Repubblica italiana. Ma resta in ambito pubblico, e, art. 40 dello Statuto alla mano, se ne potrebbe rivendicare la quota di pertinenza, mentre nulla può essere richiesto sul signoraggio privato. È argomento dibattuto su quanta parte di un reddito intrinsecamente pubblico, come il signoraggio, debba restare in mano pubblica e quanto si possa concedere ai privati. Se il nostro interesse principale è quello pubblico e non quello delle oligarchie finanziarie transnazionali, non possiamo stare che dalla parte della difesa del contante.

Terzo: chi ha il potere di emettere il denaro, decide chi finanziare, e quindi far vivere, e chi far morire. Il denaro nell’economia è come l’acqua: senza tutto si inaridisce. Se il 97% della moneta oggi è emessa dalle banche private, sia pure sotto la regia della BCE (che del tutto pubblica non è), e solo il 3% dagli stati (direttamente per le irrilevanti monete metalliche, e per mezzo della BCE per le banconote), ciò vuol dire che il sistema bancario, soprattutto ai massimi livelli dei cd. investitori istituzionali, decide le politiche economiche degli stati, e non gli stati stessi. Non possiamo cercare la libertà e l’indipendenza dalla Sicilia da Roma per essere direttamente diretti da un cartello bancario. La centralità dell’interesse pubblico deve essere restaurata, ma questo non può avvenire senza una moneta pubblica.

Quarto: la stessa moneta privata sembra abbia gli anni contati, perché si sta tornando al “contante digitale”, emesso direttamente dalla banca centrale. Non è dunque quello che volevamo? Un contante emesso dallo stato? Che importa se è “più moderno”? Se saremo indipendenti non sarà anche nostro questo contante pubblico. Ma, intanto non è così. Perché “pubblico” va bene, ma si deve vedere a che livello. Se l’autorità di emissione del denaro pubblico è “continentale”, questo significa che lo stato membro sarà svuotato di ogni autorità, e peggio ancora andrà con le regioni, autonome o no che siano “sulla carta”. Ma qui entrano in gioco due aspetti pericolosi che diciamo subito dopo.

Quinto: La CBDC (central bank digital currency) all’apparenza è moneta uguale al contante, e lo potrebbe sostituire perfettamente senza tutti gli inconvenienti della moneta privata che abbiamo detto sopra. Le banche private si adatteranno; rinunceranno alla loro funzione monetaria e torneranno al ruolo istituzionale di intermediari tra la raccolta e la provvista. Ma, al limite, potranno crearla ancora, però dando remunerazioni sui conti correnti per entrare in competizione con la banca centrale e offrendo servizi di incasso e pagamento più personalizzati ed efficienti del contante pubblico. Sì, possono sopravvivere, ma il problema diventa ora un altro. Il contante digitale può scegliere se essere anonimo o tracciato, e c’è da giurarci che gli stati sceglieranno il tracciamento. In questo modo lo stato saprà tutto di noi. È la fine della privacy, ancor peggio della attuale moneta privata. Già le banche ci contano, ad ogni transazione, quanta CO2 produciamo. Dalla tracciabilità alla programmabilità, soprattutto quando la moneta sarà tutta gestita in modo accentrato, è un attimo. Non ti comporti bene? Inquini con i tuoi consumi? Parli “male” nei social? Ti faccio una “spunta rossa”, come quella tristissima che abbiamo già sperimentato con il green pass, e a quel punto sei un dead man walking. Chi ci garantisce che non sarà fatto? Lo hanno “già” fatto, in Canada e in Iran.

Sesto: Anche se marginale, la presenza dell’alternativa del contante fisico, trattiene banche e legislatori dalla tentazione o di appropriarsi della quantità di ricchezza privata che vogliono, ad libitum, ovvero di sottoporre a programmazione e condizionalità l’uso della propria stessa ricchezza. In questo modo si ha uno strano comunismo capitalista. Tranne pochi oligarchi transnazionali cui tutto è permesso e che tutto possono possedere, per tutti gli altri esseri umani la ricchezza può essere una mera concessione. C’è già chi teorizza che la moneta, se non spesa, progressivamente si può erodere. Una moneta a tempo, per impedire il formarsi di ricchezze private troppo ampie. Una specie di reddito di cittadinanza 2.0, una sorta di incubo distopico. Parafrasando un famoso detto: “se tutti pagassero le tasse tutti ne pagherebbero di più” e non “di meno”, come erroneamente si pensa. Se esiste il circolante e su determinati redditi viene messa una aliquota “pazza”, il contribuente, seppure per legittima difesa, può sfuggire alla confisca con l’evasione e il lavoro nero di “necessità”, che ovviamente stigmatizziamo, ma che comprendiamo in condizioni estreme. Se un oppositore si vede negato l’accesso ad ogni forma di moneta digitale, ma ha una riserva di contante, può resistere per un certo tempo, può chiederla in prestito da amici meno esposti di lui, o parenti stretti, può lavorare clandestinamente per avere almeno i mezzi di sostentamento. Se questa “via di fuga” non esiste più è il paradiso dei tiranni.

E la Sicilia indipendente? La Sicilia indipendente deve essere prima “libera” e poi “indipendente”. Noi sogniamo una terra libera, fatta di uomini liberi, in cui l’interesse pubblico non possa mai schiacciare i diritti insopprimibili della persona umana. Noi vogliamo allentare le catene che ci legano all’impero globale. La nostra strada non può che essere a difesa dell’uso del contante, di cui dovremmo incentivare l’uso. Oltretutto la moneta al portatore circola più rapidamente e quindi favorisce di più l’economia. Se la Sicilia potesse almeno emettere la propria moneta complementare sotto forma di certificati di credito fiscale liberamente al portatore, e su supporto cartaceo, vivrebbe un vero boom economico, di cui, in ultimo, beneficerebbero anche le nostre finanze, e senza dover rendere conto ad alcun usuraio.

Certo, con dei limiti, per evitare gli effetti negativi “macro” di un’economia in nero. Per questo 5 o 10 milia euro possono essere sufficienti. Ma ci devono essere anche i “pezzi” adeguati. Se non disponiamo di banconote adeguate di 100, 200 o 500, o perché no, anche 1000 euro, la potenzialità di regolare transazioni in contanti, soprattutto in presenza di una rilevante inflazione come quella attuale, si vanifica.

Ci vuole coraggio a dirlo, lo sappiamo. Ci si fanno nemici potenti e pericolosi al mondo d’oggi.

Ma il “coraggio” dovrebbe essere il nostro signore, come recita il nostro storico motto:

Animus TUus Dominus!

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