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Nell’ultimo numero di Limes l’Italia si accorge che esiste la Sicilia (I parte)

Il presente articolo è in sostanza una recensione e un invito a comprare l’ultimo numero di Limes.

Questo è in pratica un focus straordinario sul Mediterraneo e in particolare sulla Sicilia.

Nel seguito, presento i brani tratti dal testo in corsivo, con alcune sottolineature rilevanti, e in testo piano i miei commenti.

Ne consiglio a tutti l’acquisto e la lettura.

 

Cominciamo con l’editoriale iniziale, con qualche sottolineatura e qualche commento nostro.

Non dimentichiamo una cosa, però, nel leggerlo: Limes è geopolitica ITALIANA. Vede tutto dal punto di vista dell’Italia, non dal nostro. Come si evince da questo primo passaggio.

 

Ora come sempre chiave d’Italia è la Sicilia. L’Italia si fa e si disfa da quel triangolo galleggiante d’abbagliante bellezza e sfibrante tristezza. Lo sanno i Siciliani… Lo intuisce Garibaldi nel 1860. Lo stabiliscono inglesi e americani nel 1943. Non lo hanno mai voluto sapere indipendentisti siciliani e separatisti italiani (del Nord e non solo) che volentieri spingere la Sicilia in alto mare.

 

Gli italiani intelligenti (Limes) capiscono che l’indipendentismo è una mina vagante per l’Italia. I siciliani no.

Comunque, continuiamo.

 

L’impero europeo dell’America nasce in Sicilia.

 

Sorvolo su tutti i preziosissimi riferimenti storici, soprattutto degli anni ’40, ma vedo che escono dai binari della verità ufficiale e del politicamente corretto. Solo qualche estratto di seguito.

 

La Sicilia in cui su presupposti così diversi sbarcano gli alleati è già fuori dall’orbita di Roma. L’isola che Mussolini aveva decretato centro del suo impero di cartapesta non è mai stata davvero fascistizzata. Per i più, mafiosi inclusi, gli invasori sono liberatori. Dal regime fascista, classificato “malattia del Nord”, “morbo padano” nel comune sentire isolano…L’antico indipendentismo, soffocato dal ventennio fascista, rialza subito la testa.

 

Gli indipendentisti sono forti e influenti dallo sbarco all’11 febbraio 1944, quando gli alleati affidano l’isola a Badoglio, che vi invia un suo alto commissario, il socialista Francesco Musotto, di simpatie separatiste. Forti perché numerosi [ma non erano quattro gatti?] e radicati nelle élite. Influenti perché utili alla gestione alleata dell’isola.

 

L’indipendentismo è arcipelago. Non partito, tantomeno monolite. Vi s’incrociano ex fascisti e neocomunisti, reazionari e socialisti, repubblicani e monarchici, laici e cattolici, feudatari e braccianti, popolani e intellettuali, sottoproletari e professionisti. A federare tanto vasta e vaga compagnia si prova il carismatico avvocato Andrea Finocchiaro Aprile. [ma non erano solo mafiosi e baroni reazionari?]

 

Errore grave sarebbe declassare l’indipendentismo a esibizione folclorica. Al contrario, è tema antico, rimodulato nelle contingenze belliche e postbelliche incrociate alla provvisoria scomparsa dello Stato unitario. Fuoco che cova in permanenza sotto la cenere.

 

Questo passaggio è esattamente il contrario di quanto sostiene la storiografia italiana ufficiale. Da un lato si minimizza il Separatismo, lo si riduce a fatto congiunturale e minoritario, si occulta il suo ruolo nella genesi dell’Autonomia. Dall’altro si capovolge l’intera storia siciliana riscrivendola come “storia di una regione italiana” o come partecipe di una “unità” “di un Paese vagheggiato nei secoli”, come recitava un assai discutibile appello di intellettuali siciliani all’indomani dell’elezione di Lombardo nel 2008, temuto, del tutto a torto, come separatista.

 

Al richiamo di Antudo, acronimo di Animus Tuus Dominus, grido di battaglia dei Vespri. Agitando la nazionale bandiera giallorossa, bicromatismo reso dai colori di Corleone e Palermo, avanguardie della rivolta. [Questi ci hanno studiato bene prima di scrivere questo numero, non ho alcun dubbio]

 

Il separatismo del 1943-45, scontrandosi con l’unitarismo di tutti i partiti antifascisti…produce per crasi l’autonomia siciliana tuttora in vigore (si fa per dire)…

 

Ah…ora l’Autonomismo non è più il frutto dei “padri statutari”, dei vari Alessi e La Loggia, ora lo ammettiamo pubblicamente che se non fosse stato per la guerra civile indipendentista col piffero che avrebbero concesso l’autonomia. Per inciso noto che cade un altro pregiudizio: la Sicilia “ha lo Statuto Speciale quindi è già autonoma, che vuole”. Sanno benissimo che lo Statuto ormai è lettera morta (“si fa per dire”); confermo, per la prima volta hanno studiato bene.

 

L’autonomia è anfibia. Può meglio connettere le periferie al centro o svelarsi tappa intermedia verso il divorzio.

 

Da incidere sulla roccia. Ma si può leggere anche al contrario, da un punto di vista siciliano. Da un lato l’autonomista come depotenziatore dell’indipendentismo, per ricondurre tutto al centralismo. E dall’altro l’autonomista di compromesso, che si ferma all’autonomia in attesa dell’indipendenza. Ma gli autonomisti, apparentemente simili tra loro, sono fondamentalmente diversi nei fini. E la differenza tra quelli cripto-centralisti, e quelli cripto-indipendentisti, è molto sottile, non colta da tutti immediatamente, ma certamente fondamentale. In ogni caso è vero: l’Autonomia è ANFIBIA.

 

La geopolitica valorizza la geografia della Sicilia. Se il Mediterraneo centro-meridionale è sotto egemone, Palermo si adatta… Quando intorno l’acqua ribolle e la gerarchia delle onde stinge opaca, schiumando, tutto è possibile.

Avvertenza. Qualcuno tra i contendenti mediterranei potrebbe un giorno gonfiare le vele del separatismo anti-italiano. Grimaldello per condizionarci. Come già gli angloamericani nel fatidico 1943.

 

È vero, se c’è l’egemonia spagnola sul mediterraneo non osiamo sfidarla e ci accontentiamo del regno autonomo, e così se il predominio Usa è indisturbato. Ma nei momenti in cui non c’è un paese egemone, tutto è possibile. E neanche viene sottinteso cosa. L’autore lo dice a chiare lettere subito dopo: l’indipendenza. Una sciagura vista dall’Italia, una opportunità vista dalla Sicilia. Ma non facciamolo sapere ai Siciliani.

 

L’errore imperdonabile commesso dall’Italia nei suoi centosessant’anni di unità è stato di trascurare, quindi accentuare, le divaricazioni fra Nord e Sud… Nel caso della Sicilia, la negligenza dell’Italia continentale ha incentivato la frustrazione. E la voglia di fare da sé. Un grado d’indipendentismo isolano ne deriva cronico. C’è anche quando non si vede.

Il separatismo italiano che l’alimenta è figlio d’incoscienza, indifferenza, latente disprezzo…

 

Qualche volta il numero di Limes si allarga alla Questione Meridionale, ma raramente. È sulla Sicilia che si gioca il futuro del paese. Ora alcuni illuminati commentatori italiani capiscono che il colonialismo interno è stato incosciente, autolesionista, miope, ignorante. E così il cosiddetto “separatismo italiano” verso di noi: quante volte abbiamo sentito dire “Vendiamoci la Sicilia”. Ma questo non ci commuove, non ci deve commuovere. Se loro sono autolesionisti siamo noi a non doverne trarre profitto e a salvare quell’Italia che ci ha stritolato? E poi è troppo tardi per tornare indietro. Troppa disperazione ha seminato la dominazione italiana in Sicilia per ritrovare oggi una credibilità. Ormai il matrimonio è finito, siamo separati in casa; ora manca solo il divorzio.

Lucidissimo il passaggio in cui si capisce che se l’indipendentismo non emerge è per mancanza di sbocco immediato, ma c’è, sempre, anche quando non si vede. Aggiungiamo che c’è e ci sarà sempre perché la Sicilia non è il Molise, è una Nazione, non una Regione.

 

L’Italia continua a trattarla da fastidiosa, ingovernabile appendice. Ma se lasciassimo l’isola alla deriva, proprio perché “indipendente” sarebbe risucchiata in sfera d’influenza altrui. Non necessariamente amica. Altro che ponte sullo Stretto: saremmo costretti a fortificare la soglia di Reggio Calabria.

 

Finalmente qualcuno che lo capisce, ma per fortuna è solo una minoranza, di cui nessuno al governo. Le fortificazioni a Reggio Calabria perché la Sicilia sarebbe ostile? Magari Dio!! Significherebbe la nostra libertà.

 

Dall’intervista all’Ammiraglio De Giorgi, proseguiamo,….

 

Limes: Esiste una strategia italiana per il Mediterraneo?

Ammiraglio De Giorgi: No. Non abbiamo strategia che differisca dalla generica enunciazione di alcuni princìpi fondamentali quali la nostra appartenenza alla Nato e all’Unione Europea. Insieme alla fedeltà agli Stati Uniti e all’atlantismo. Più il multilateralismo inteso come negazione del ruolo individuale degli Stati.

 

Mentre nel mondo ognuno si fa i fatti suoi, noi abbiamo Di Maio e il nostro pacifismo ecumenico, e l’accoglienza… siamo fuori strada, completamente… ma non è l’Italia che deve difendere la Sicilia e i suoi interessi, siamo noi, e noi soli. Se l’Italia non ha politica estera peggio per lei. Non è degna di governare la Sicilia.

 

Continuiamo con il saggio di Fabbri, tra i più lucidi. Qualche sottolineatura nostra e qualche commento… Il titolo è “Se solo la Sicilia fosse Italiana”

 

La più strategica delle isole mediterranee è fuori dalla nostra sovranità, controllata dagli americani e minacciata dai flussi di Caoslandia. Con turchi e russi installati nelle Libie. Per limitare i danni dobbiamo farci rispettare lungo lo Stretto.

 

Ooh! Finalmente lo diciamo chiaramente. Siamo un condominio Italo-Americano. Persino essere solo colonia americana, per quanto non desiderabile, non sarebbe un peggioramento rispetto alla duplice colonizzazione in atto. Diciamo chiaramente che non c’è più la “guerra in Libia”, ma che in Libia ci sono due Stati di fatto, e resteranno tali per molto tempo: la Tripolitania con i turchi e la Cirenaica e Fezzan con i russi. E nessuno a presidiare il “nostro” Stretto. Pericolo od opportunità?

 

L’Italia non sa che fare della Sicilia. Non dispone della principale isola del Mediterraneo ma non se ne rammarica…ne ha forzosamente concesso a Washington la gestione strategica… finendo per tollerare che questa fosse usata contro i propri interessi in Nord Africa e nel Levante, senza protestare. Costretta a concentrarsi sulle sole dinamiche domestiche [cioè si è concentrata sulla rapina delle sue risorse economiche senza valorizzarne le immense risorse] della Trinacria, senza contrastare efficacemente la locale criminalità, sfruttata a proprio vantaggio dagli Stati Uniti dal 1943.

 

Ponte naturale tra Occidente e Levante, la Sicilia consente a chi la domina di bisecare il bacino mediterraneo, territorio ineludibile tra le onde che lo attraversano. La più grande isola del Mare Nostrum è embrione di ogni impresa egemonica, trampolino geometrico per chi si pretende rilevante tra Europa, Africa, Asia Minore. Impossibile minimizzarne il valore, misconoscere la competizione che l’ha segnata.

 

Quindi il possesso della Sicilia dà un potere enorme a un’Italia che non lo sa usare. E noi facciamo la fame….

 

In barba a storia e caratura strategica, il neonato Regno sabaudo mostrò prontamente di ignorarne la grandezza… Senza curarsi dell’autonomia di cui beneficiava al tempo dei Borboni [solo amministrativa in verità, ma forse si riferisce al Settecento, con il regno autonomo], Cavour impose alla regione le medesime leggi del Regno.

Ai reggenti inviati in Affrica dal Piemonte fu suggerito di piegare la popolazione al canone nordico.

 

È vero. L’Italia non ha mai capito niente della Sicilia, trasformandola in appendice della Penisola. Aggiungo che anche Napoli faceva lo stesso errore, ma Torino e il Nord hanno peggiorato la situazione.

 

Fu durante il fascismo che l’Italia pensò di tradurre la valenza geografica della Trinacria in rendita strategica.

 

Parentesi infausta comunque…perché il fascismo intuì il dividendo della posizione, ma lo volle sfruttare per sé. La Sicilia nulla ci guadagnava.

 

E poi, dopo lo sbarco alleato…

 

Da allora la Trinacria passava definitivamente agli Stati Uniti, cui ancora pertiene sul piano militare. Con Roma impegnata soltanto impegnata a controllare il territorio, a fronte di risultati altalenanti.

 

A differenza del nostro paese, storicamente gli Stati Uniti colgono il grandioso valore della Sicilia.

 

A corroborare la condizione della Sicilia come colonia de facto degli Stati Uniti anche il prolungato intervento della mafia in favore della Democrazia Cristiana [lo dicono loro, non querelate me], ritenuta Oltreoceano il principale antidoto all’avvento del comunismo di stampo sovietico. Appartenenza strategica che non cessò neppure con l’implosione di Mosca.

 

Forse, a questo punto, bisognerebbe parlare direttamente con Washington della Questione Siciliana? Purtroppo c’è Biden…

 

…Palese illustrazione dell’inestimabile valore geografico dell’isola. Cui si aggiunge il cosiddetto Sicily Hub, snodo internettiano con sedi a Palermo e Catania,… il più importante d’Europa assieme a quelli di Francoforte, Amsterdam, Marsiglia e Londra…. Soltanto nei nodi di Palermo, Trapani, Catania e Mazare si collegano 16 cavi transcontinentali…Cavi difesi nel mondo proprio dalla Marina americana…

 

…e quanto siamo pagati per questo importantissimo snodo internettiano? Noi facciamo la fame!

 

Nell’indifferenza della nostra opinione pubblica, pressoché sicura che la Sicilia sia soltanto un gravoso fardello, inconsapevole della sua importanza, di quanto influisca sulla nostra congiuntura. Naufragata al largo del braccio eponimo. [Giletti & co. hanno lavorato bene… il problema è che, narcotizzati dai media italiani, anche molti siciliani pensano di essere solo un fardello maledetto.]

 

La tragedia è che Roma non pensa alla Sicilia né in dimensione strategica, né tattica. Si concentra esclusivamente sulla sua esistenza domestica, segnata dal mancato sviluppo economico, dalla criminalità organizzata, dallo spopolamento. Certo, un territorio di confine necessita di benessere per renderlo indifferente alle lusinghe delle potenze straniere, per scongiurare sia sconvolto dal malessere della popolazione.

Ma il valore della Sicilia trascende i meri parametri economici e sociali. Né si esaurisce nelle locali deficienze strutturali. Quanto perfettamente compreso dagli attori esogeni che puntano a dominare l’isola.

 

“Un territorio di confine necessita di benessere etc.”. L’Italia impone il rientro da disavanzi immaginari strangolando la Sicilia con miliardi di tagli…. A questo punto il primo “attore esogeno” che passa è benvenuto, o no?

 

Dalla Trinacria Roma potrebbe dominare lo stretto meridionale. Probabilmente non impedire il passaggio delle navi straniere – tale minacciosa manovra è nell’esclusività degli Stati Uniti – ma proporsi come indispensabile controllore delle acque.

 

Ma non potremmo farlo noi? Invece di lasciare questo ruolo ad un’Italia imbelle?

 

(segue, qui la seconda puntata)

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