Attenzione! Torna Cuffaro
È tornata la DC, la vecchia DC. Sempre quella. Quella che, dopo la guerra civile del 1943-46, complice l’ignoranza diffusa, ha ereditato un’Autonomia che non aveva conquistato, e sulla quale tutt’al più aveva mediato tra Stato e Separatisti per lucrare un ruolo parassitario da intermediari.
L’hanno ereditata, hanno consolidato il loro potere, trasformando la Sicilia da paese colonizzato dall’Italia per mezzo dei prefetti, a paese colonizzato dai feudatari della politica piccola e grande: un voto, un favore.
Hanno inghiottito chiunque si sia avvicinato loro, coinvolgendolo nel loro metodo. Si avvicinano le destre, monarchiche, liberali, qualunquiste, separatiste? Le assorbono a poco a poco… I veri autonomisti si ribellano, escono dalla DC e si alleano con destra e sinistra con Milazzo? Nessun problema, dall’opposizione l’eterna DC se li compra a uno a uno, isolando i reprobi e riprendendosi la cittadella del potere. Si avvicinano i socialisti nel centro-sinistra di D’Angelo, negli anni ’60? Li inghiottono, rendendoli uguali, se non peggiori, nei metodi di governo e sottogoverno. Si avvicinano i “comunisti” dei tempi di Berlinguer, nei governi Bonfiglio e Mattarella? Si adattano al “sottoogoverno”. Cade la I Regione colpita da tangentopoli? Si riciclano tutti, chi dentro Forza Italia, sia dentro i tronconi delle nuove DC, ora CCD ora CDU ora vattelapesca quale altre formazione “centrista”. Cambia tutto, ma non cambia mai nulla. Il gattopardo resta sovrano. Infine, quando sono costretti alla svolta “presidenzialista” nel 2001, fanno cartello, e il corifeo è proprio lui, il Cuffarone “regionale”, quello con cui il “democristianismo” diventa metodo, mitologia, esasperazione. Come l’ultimo Barocco (il Rococò) era “più barocco assai”, così l’ultimo democristianismo è il più democristiano di tutti i tempi. Ora persino gli ex-missini, prima “insolubili”, ora seguaci di Fini, sono “democristianizzati” nel grande “centro-destra”. Del resto quando, per sbaglio, si forma un effimera maggioranza di centro-sinistra, con Capodicasa, i DC sono sempre a galla, e – detto tra noi – la cd. sinistra fa persino rimpiangere il tradizionale governo di centro-destra.
Ma cosa ne è stato delle istituzioni regionali nei primi 70 anni di amministrazione democristiana?
Niente! Si galleggia con il decentramento ottenuto nel primo biennio (1947-49), e rinunciando lentamente, molto lentamente certo, ma progressivamente, a tutto il resto.
Non c’è nessuna difesa, se non per inerzia, dell’Autonomia, cui si rinuncia con una lacrimuccia, pezzo per pezzo. Non c’è alcun progetto di riscatto economico, sociale, della Sicilia, che scende lentamente, gradino dopo gradino, tutta la scala dell’inferno e dell’autodistruzione.
In questa “marcia del gambero” sembrano “statisti” i mediocri amministratori del XX secolo, ma solo perché ancora non avevamo sceso altri gradini come ora.
Parliamoci chiaro! La Democrazia Cristiana è stata la peggiore disgrazia che poteva capitare alla Sicilia.
Non solo per il male che ha fatto e che continua a fare alla Sicilia che è epocale. Del resto quando, per breve tempo, non ha governato (ad esempio la legislatura di Crocetta), gli “altri” sono stati capaci di fare peggio, molto peggio!
Non solo perché la Democrazia Cristiana è una specie di melassa, un blob, che si attacca a tutto e che assimila tutte le forze politiche che le si avvicinano, spegnendo ogni anelito di vera vita politica, trasformando tutto ciò che potrebbe essere “nazionale siciliano”, “alto”, “nobile”, in volgare, meschino, elettorale, clientelare, da sottosviluppo, in una parola “regionale” (parola che sto cominciando a odiare).
La Democrazia Cristiana è una vera iattura perché – duole dirlo – forse rappresenta veramente la coscienza politica della maggioranza dei Siciliani, non la migliore, anzi…. ma la maggiore certamente. E in politica chi ha più voti vince, non c’è dubbio. I democristiani sono come le parrocchie, dappertutto ce n’è una, bella o brutta che sia. I democristiani, peraltro, sono un fenomeno tutto SICILIANO. Ai tempi, della I, ma tutto sommato ancora della II Repubblica, esisteva la DC, o i post-democristiani in Italia, anche se la somiglianza con quelli siciliani era solo apparente. Sono sempre state due cose diverse. Ora la differenza è irreversibile. I democristiani italiani si sono estinti, per mai più ritornare. I democristiani siciliani non si sono estinti mai! Nella mentalità prima ancora che nell’organizzazione politica. Beninteso! Non sono per nulla “democratici”, tutt’al più “oligarchici”, e nemmeno “cristiani”, tutt’al più un po’ perbenisti. Ma non importa. Sono rassicuranti come il pane di paese, ma non hanno alcuna visione geopolitica o geoeconomica. Il loro mondo è semplice: troviamo un “signore” a Roma che ci investa sulla Sicilia, e qua “gestiamo il consenso”, punto e basta.
Sono fuori dal tempo. Per loro non c’è Patto di Stabilità o Caduta del Muro di Berlino. I loro “famigli” sono devoti, come gli antenati di questi lo erano ai baroni e ai principi che per secoli hanno gestito in qualche modo quella repubblica aristocratica un po’ dissimulata che era chiamata “Regno di Sicilia”. Con una differenza però. Il “Regno” aveva un vero orgoglio nazionale, seppure decapitato del proprio sovrano, e la classe aristocratica di allora aveva una certa coscienza di classe e del proprio ruolo di guida della Nazione siciliana. Questa classe dirigente “democristiana”, estintasi la prima, non è altro che la “fermentazione” dal basso di ceti popolari un tempo sottomessi, priva di visione e di autocoscienza. Ma, in ogni caso, sono in grado di vincere davvero.
E purtroppo hanno un capo-feudatario dalle capacità elettorali straordinarie. Quando Cuffaro nel 1996 risultò il deputato regionale più votato, finì sui giornali per questo. E ai giornalisti che lo intervistavano, da buon democristiano, chiedeva sfacciatamente se avessero bisogno di qualche favore. Dopo 5 anni era il padrone della Sicilia. Ma non un dittatore, ché la Sicilia non ne ha mai accettato. Un capo-feudale di una complicatissima rete di investiture e sub-investiture. Come gli antichi viceré, che “coi baroni erano tutto, senza non erano nulla”. Così il Cuffarone, che per tutti aveva un’assunzione o un finanziamento, anche a costo di emettere i “Pirandello Bond”, e di mandare al diavolo la macchina regionale, non molto diversamente degli ultimi sgangherati viceré spagnoli.
Poi venne l’accusa e la condanna per mafia. Intendiamoci, mafia secondo me di “leggerezza”. Così leggero nell’assicurare il consenso, da non accorgersi che era andato ben al di là del codice penale stringendo le mani o dando qualche “vasatedda” di troppo. A quel punto tutto si blocca, e – va riconosciuto – paga generosamente il suo debito con la giustizia, caso più unico che raro nella politica italiana. A dimostrazione ancora una volta che le leggi non scritte della politica italiana nella colonia Sicilia non valgono nulla. E il più grande capo-feudatario è pedina sacrificabile. Mentre è sequestrato i democristiani si disorientano. Si disperdono. La maggior parte sono intercettati da Lombardo, democristiano pure lui, nel metodo e nel merito, peraltro pure lui allievo di Mannino, ras della Prima Regione, a cavallo tra il lecito e l’illecito, come sempre. Sotto la crosta democristiana la Sicilia si scopre “autonomista”. Lo spirito separatista è del resto sempre latente in Sicilia, come diceva Gramsci. Poco prima di Cuffaro (ma già questi è un protagonista) la Sicilia si riappropria della propria Bandiera, poco dopo il suo insediamento arriva anche l’Inno.
Ma l’Italia non tollera l’ambigua rivendicazione di Lombardo è lo fa fuori, questa volta a quanto pare del tutto ingiustamente. Nella divisione e dispersione dei DC, vengono gli “altri”: prima il post-comunista Crocetta, poi il post-fascista Musumeci. E la Sicilia cade nel baratro. L’illusione effimera del Movimento 5 Stelle non riesce a trasformarsi in forza di Governo.
Ora scontata la quarantena politica, rieccolo! Riorganizza le truppe e parte all’assalto di quella che pensa sia casa sua. Beninteso, ha pagato, e può tornare alla società civile. Poteva fare il medico o, come diceva, il missionario. Ma, dopo l’infamante condanna, ritornare ad occuparsi di politica? In questi casi dovrebbe esserci una perenne interdizione. Ma, niente, i Siciliani dimenticano tutto.
Ora rischia di riorganizzare l’Antico Regime e di riprendersi, lui o chi per lui, la macchina ormai distrutta (anche da quelli come lui) della Regione e delle altre amministrazioni pubbliche siciliane, a cominciare dai Comuni.
Chi può e deve opporsi a tutto ciò?
Esiste una sola opposizione in Sicilia, ed è giunto il tempo di coalizzarla, rafforzarla, organizzarla. Ed è quella indipendentista. La Sicilia ha bisogno di diventare indipendente, o quanto meno di essere governata da una forza indipendentista che, anche in via transitoria sotto dominazione italiana, cominci a spezzare le catene coloniale. Naturalmente va fatto solo con il consenso dei Siciliani. Se ci sarà, manderemo a casa questi vecchi feudatari che hanno distrutto la Terra più bella al mondo. Manderemo in pensione il Cuffarone, di cui non abbiamo più alcun bisogno. Deve coalizzarsi con i ceti produttivi, crescere, diventare credibile, numerosa.
Se non saremo ancora maggioranza, prepareremo questo governo e questo consenso per la prossima volta. Ma non dimentichiamoci che è necessaria una grande azione di risveglio della Nazione siciliana. Anche avere un’opposizione nel Parlamento siciliano (e perché no anche italiano), può essere una tappa importantissima.
E spetta soprattutto a Siciliani Liberi il compito di tessere questa rete per dare una alternativa alla nostra Patria.
Non facciamoci sedurre dal vecchio tranquillo feudalesimo elettorale. Noi abbiamo il dovere di guardare al futuro della Sicilia, forti del nostro grande passato. La parentesi democristiana un giorno sarà solo una brutta, grigia parentesi.
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