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I RISCHI DEL “MELONISMO” IN SICILIA

In questo momento siamo nel pieno del periodo della cosiddetta “Luna di Miele” tra la maggioranza uscita vittoriosa alle elezioni e l’elettorato. Si applaude alle decisioni-simboliche e si è disposti a dare credito per le questioni ancora irrisolte.

Questa popolarità del nuovo Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, trova in Sicilia terreno particolarmente fertile, pur nella generale disillusione: non c’è mai stata un’egemonia di sinistra, si è orfani del mito dei 5 Stelle (con una piccola roccaforte tra i percettori del moribondo “reddito di cittadinanza”), e per altri motivi culturali che non mette conto richiamare.

In questo breve articolo voglio evidenziare come questa ennesima “cotta” dei Siciliani può rivelarsi per loro l’ennesima cocente delusione.

Certo, onestà intellettuale vuole che riconosciamo alcune ventate di novità, alcune inevitabili “cose buone” che l’ascesa della Meloni ha per noi e per tutti. Intanto non ci ha fatto nulla di particolare contro, poi è stata abile per sé e il suo partito. Portare un partito dal 2,6 al 26 percento in poco tempo non è da tutti. Ma questo ancora è solo talento politico. Che ce ne importa?

Ci sono anche cose buone nel merito. Ad esempio il troncamento netto (o quasi, ma forse sta dando il tempo a non pochi di riallinearsi) della sciagurata politica di terrore psico-sanitario. Dovremmo dire che prima dobbiamo vedere il cammello, ma prudentemente possiamo iniziare a dire che siamo sulla strada giusta.

Il rilassamento della stretta sul denaro contante va contro la politica del controllo totale seguita negli ultimi anni: 5.000 euro sono certo un buon compromesso, chapeau, non c’è che dire.

Si preannunciano alcuni provvedimenti contro il caro-bollette, vedremo, forse svincolano i prezzi dalla speculazione internazionale e li riagganciano ai veri costi. Vedremo, Draghi non lo ha fatto mai e non lo avrebbe fatto mai, sia pure salutato dalla stessa Meloni con tutto l’incenso possibile.

Anche la stretta sull’immigrazione è positiva. Beninteso, non ho nulla contro le comunità integrate ed integrande allogene in Sicilia. Ma il disordine piddino dei processi migratori rischiava di provocare un’alterazione irreversibile degli equilibri etnici, con conseguenze culturali e politiche imprevedibili, che potrebbero mettere a repentaglio la stessa nostra sopravvivenza come popolo, nel lungo periodo almeno. Oltretutto si sta parlando di una tratta quasi schiavistica. Bene se si riporta un po’ d’ordine.

Se non si esagera, anche le politiche più attente alla famiglia (che m’importa se nella loro vita privata sono disordinati? quello che conta sono le politiche pubbliche) sono un bene. Di agenda ideologica gender non se ne poteva più. I ragazzi hanno diritto di crescere in maniera sana, chissà se riusciranno ad arginare quest’altra arma diabolica del pensiero unico globalista… Insomma, in una parola, senza troppi giri, sembra che la famosa “agenda” stia saltando in non pochi punti, e in altri stia subendo un brusco arresto. Non è forse un bene questo?

Ciò vuol dire che è tutto buono, che tutte le lamentele del centro-sinistra, ora sulla corruzione del berlusconismo, ora sui rigurgiti di vecchio fascismo qua e là siano infondate? No, non dico questo. La Russa non è il mio ideale Presidente del Senato. La mia cultura con quella dei post-fascisti non ha nulla a che spartire. Ma lascio volentieri a Letta queste polemiche, che giudico oggi secondarie rispetto alle vere emergenze.

In una parola il partito “Fratelli d’Italia” si avvia a diventare un partito unico di massa che esprime la maggioranza, almeno relativa, dei consensi. I due suoi principali alleati, fondamentali in Parlamento, nel Paese sembrano avviati sul viale del tramonto, poi chissà….

Forza Italia sembra una candela ridotta al moccolo, che continuerà a mandare per un po’ la sua luce, ma destinata a spegnersi lentamente con il suo fondatore. La Lega, qua e là ora più draghiana, ora più movimentista, è dilaniata da contraddizioni interne ed è in piena ritirata dal centro-sud: si avvia a ridiventare un partitino lombardo-veneto.

E quindi? E quindi, di fronte a questa imponente corazzata, il rischio è anche in Sicilia arrivi l’ennesimo “messia” che ci deve salvare da fuori, non più Berlusconi, non più Grillo, ma ora la Meloni. Ogni legittima aspirazione, ogni legittima rivendicazione della Nazione siciliana rischia di essere assorbita come sempre. Riusciranno questa volta in Siciliani ad aprire gli occhi?

Questa nuova ondata di entusiasmo, dopo l’asfissia piddina, è umanamente ed emotivamente comprensibile, ci mancherebbe. Ciò non toglie che potrebbe essere molto molto dannosa per le sorti della Sicilia. Intravedo molti guai all’orizzonte.

Cominciamo dall’autonomia differenziata, promessa alle Regioni del Nord. Si istituzionalizzerà l’ingiustizia di sempre, prima però coperta dall’ipocrisia. L’autonomia differenziata del Nord è una pietra tombale per l’autonomia siciliana, perché sappiamo che è fondata anche sulle nostre risorse. Il Governo ha promesso al Nord le risorse tributarie riscosse in loco, anche se maturate nel Sud e nelle Isole. E qui Rossi, Verdi e Blu saranno tutti contro di noi. Mentre l’Emilia Romagna potrà fare nuove sperimentazioni a scuola, la Sicilia non potrà riparare neanche i cornicioni che cadono.

Le infrastrutture in Sicilia le vedremo con il cannocchiale, però si parla del Ponte, che marginalizza la Sicilia, le toglie l’insularità appena riconosciuta e mai sfruttata, ne cambia l’identità… Non perdo tempo a parlare di Ponte. Chi se ne è innamorato non lo convinco, chi sa di cosa parlo, non ne ha bisogno. Un’altra tragedia nazionale, questa volta per contentare l’affarismo d’accatto dei berluscones.

Poi, non solo a danno della Sicilia, potremmo citare la dissennata politica atlantista che nella peggiore delle ipotesi ci espone al rischio nucleare e nella migliore a perdere amicizia e mercato dei russi, che certo non sono nemici della Sicilia. A parte la politica bellica, le sanzioni contro la Russia sono un suicidio per la Sicilia. Chiude lo stabilimento Lukoil di Augusta: un’altra tragedia occupazionale per una Sicilia sempre ultima tra gli obiettivi nazionali italiani. Quale sarà la risposta del Governo Meloni a questa tragedia? Una beata….

Anche la sudditanza dell’Italia alla UE, forse strumentalmente adottata dalla Meloni per farsi “accettare”, rischia di non fermare alcuni processi disumani, all’insegna della digitalizzazione e dell’ambientalismo fanatico, tutt’al più di rallentarli appena. Un modello di economia, quello europeo, tutto fondato peraltro sul centralismo franco-tedesco (che, se crollerà, non sarà certo per merito della Meloni), in cui la stessa Italia, al di là dei proclami sovranisti, è periferia, e la Sicilia periferia della periferia, su cui l’Italia scaricherà – come sempre fatto in passato – il peso dell’austerità richiesta da Bruxelles.

Lo stesso piccolo sovranismo italiano si può tradurre in una beffa per la Sicilia. Forse si allenta poco poco la catena da Bruxelles, e da Francoforte, forse… Ma a quale prezzo per la Sicilia? Al prezzo di un governo che sarà federalista coi forti del Nord e centralista con noi, perché politicamente ed economicamente deboli. Al prezzo di un governo che, facendo in continuazione leva sull’identitarismo italiano, continuerà a confondere ancor di più e ad omologare la già sofferente identità siciliana, la coscienza di appartenere ad una comunità di destino. E anche negli interessi concreti. Valga l’esempio della moneta fiscale. La faranno? Forse, ma questa sarà una pietra tombale sulla moneta complementare siciliana, alla quale abbiamo interesse e diritto.

Insomma la “liberazione”, se anche fosse tale e non solo simulata, dalle catene del World Economic Forum, si potrebbe tradurre solo nel cambio del proprietario delle catene. 

Per questo diventa importante che la Sicilia che produce, dagli agricoltori ai pescatori, dagli industriali ai commercianti, ai professionisti e agli intellettuali, si stringano pragmaticamente intorno ad un grande progetto di difesa del lavoro e del reddito siciliano. L’obiettivo deve essere uno: trattenere in Sicilia centri decisionali, risorse umane, aperture ai mercati esterni per il nostro prodotto, progettualità delle infrastrutture indispensabili allo sviluppo, valorizzazione e prima ancora difesa dello status di insularità.

E questo rivendicazionismo pragmatico, economico e infrastrutturale non può andare disgiunto, se vuole avere sufficiente e duratura base di consenso, da quello identitario, ad ogni livello, anche nelle piccole cose, dalla toponomastica alle ricorrenze popolari, e tutto ciò che difende la nostra identità, fosse anche la valorizzazione della Festa dei Morti che una specificità nazionale nostra e che è insidiata gravemente, tanto per fare un esempio spicciolo.

Per fare un altro esempio, posso portare quello del “Graduation Day” dell’Università degli Studi di Palermo cui ho assistito da poco (perché poi in inglese? boh!). Si inizia con l’Inno di Mameli. Capisco, facciamo parte della Repubblica italiana. Ma perché non farlo seguire dall’inno siciliano Madreterra? Stavamo o non stavamo laureando il fiore della futura classe dirigente siciliana?

Il tempo c’è. La Sicilia che produce si deve stringere intorno a questo programma, con due obiettivi ambiziosi ma realistici: in cinque anni prendersi la Regione e la maggioranza della rappresentanza parlamentare in Sicilia. È possibile, ma ci si deve lavorare duro.

Nel frattempo incalzare costruttivamente il Governo Italiano. Sono la nostra controparte, non possiamo essere i loro alleati, ma non per questo sono necessariamente nemici. Se saremo forti del consenso potremo ottenere da loro risultati anche importanti.

Il lavoro da fare non manca.

P.S. Se fanno il Ponte, se mai ci riescono, la questione non si chiude qua. È un’opera contraria ai nostri interessi nazionali, e se dovessimo vincere andrà semplicemente smontato. Non c’è nulla di irreversibile.

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