I Siciliani si stanno estinguendo?

Uno dei segni visibili del progresso o regresso di una Nazione è dato tradizionalmente dal suo numero di abitanti. Questo almeno per la maggior parte della storia umana. Nelle epoche più vicine a noi la crescita può essere anche collegata a sovrappopolazione e povertà. Una lenta decrescita può anche consentire una migliore redistribuzione del reddito, una riduzione della povertà, minori problemi logistici dalle agglomerazioni urbane, più lieve impronta ecologica sul territorio.

Ma, appunto, per gran parte della storia umana il ragionamento è stato inverso, di tipo malthusiano. Quando c’è abbondanza di risorse la popolazione si moltiplica, mentre nelle fasi di declino ci si spopola.

Posto questo, da dove vengono e dove vanno i Siciliani?

La Sicilia ha conosciuto la prima popolazione umana relativamente tardi: non prima del 20.000 a.C. circa, quando i primi uomini moderni riuscirono a varcare lo Stretto con imbarcazioni rudimentali e a creare insediamenti stabili.

Non abbiamo, ovviamente, censimenti dell’Antichità, ma solo stime degli storici, fondate su testimonianze archeologiche e documentali.

La Sicilia, tuttavia, nell’Antichità era molto popolata, in relativo alle dimensioni della popolazione umana complessiva dei tempi. Siracusa e Agrigento erano tra le maggiori città europee. L’estensione della Neapoli siracusana consente di dare per buone le stime di 300.000 abitanti nel momento di massimo splendore (e altrettanto verosimili la metà per Agrigento), proprio perché in quel momento la Sicilia era una vera e propria potenza economica, politica e culturale.

Con la dominazione romana, nonostante il grande afflusso di schiavi, la popolazione urbana cominciò a declinare. Si stimano alcune centinaia di migliaia di abitanti al tempo del censimento augusteo, e dopo, durante i bui secoli dell’Impero, il declino demografico fu ancora più severo, quando la Sicilia era ridotta a poco più che luogo di villeggiatura per la ricca classe senatoria.

La popolazione siciliana rimase stazionaria per secoli, probabilmente vi fu una leggera ripresa negli ultimi secoli della dominazione bizantina, alti e bassi durante i torbidi della conquista saracena e della “reconquista” normanna (è altrettato verosimile che Palermo abbia superato o almeno raggiunto i 100.000 abitanti durante l’emirato o nei primi tempi del Regno di Sicilia), ma nel complesso rimase stabile. Subì una forte contrazione con la Peste Nera del 1300 e poi si riprese, ma con molta lentezza.

Dai primi del 1500 cominciano i censimenti generali del Regno di Sicilia, dapprima sporadici, poi sempre più frequenti. Da questo momento in poi le stime sulla popolazione si fanno attendibili. Ai primi del 1500 la Sicilia contava ancora complessivamente poco più di mezzo milione di abitanti. La maggior parte del suo interno era costituito ancora da boschi o latifondi semi-disabitati, con poche case coloniche e braccianti che andavano a coltivarli in determinate giornate/stagioni per poi ritirarsi nei radi borghi dell’interno. Il tessuto urbano non era poi molto diverso da quello dell’Antichità.

Da quel momento in poi, nonostante la storiografia parli di un declino sotto l’egemonia spagnola, per la Sicilia è boom demografico ed economico. Circa 200 dei 390 comuni attuali sono frutto di una colonizzazione interna dei primi secoli dell’Età moderna. Piccoli nuovi insediamenti, nati con poche centinaia o addirittura solo decine di abitanti, nel giro di 100 anni o poco più diventano “paesoni” con diverse migliaia di abitanti. L’età barocca fu una sorta di età dell’oro. Palermo è in questo periodo una delle più grandi metropoli europee, pur senza una piena indipendenza politica. Fino a tutto il XVII secolo la Sicilia è terra di immigrazione da tutte le province della ben più povera Italia (e non solo), ciò che resta immortalato dalla frequenza dei cognomi etnici arrivati sino a noi: Lombardo, Romano, Napolitano, Genovese, Lucchese, Fiorentino, Catalano, Provenzale, Puglisi, Valenza, Maiorca, Bologna,…

Ai primi del 1800, per esempio, Palermo è ancora la seconda città dell’attuale Italia per numero di abitanti, dietro Napoli, ma davanti a Roma e Milano.

Nel mezzo secolo scarso delle Due Sicilie si comincia ad avere una stagnazione. Nessuno immigra più in Sicilia, nessuno ancora emigra. La popolazione continua lentamente a crescere. Palermo arriva all’Unità d’Italia superata da Roma e Milano, ma ancora grande capitale. Catania è in piena espansione, sin dalla ricostruzione successiva al Terremoto di fine Seicento, e insegue Messina, che invece arranca, e che viene superata dopo il devastante terremoto del 1908.

La Sicilia arriva al 1861 con circa due milioni e quattrocentomila abitanti.

L’Unità d’Italia non arresta la crescita demografica della Sicilia, che però in relativo resta indietro rispetto al Nord Italia che ora diventa il centro dell’economia della nuova nazione. La crescita demografica è smorzata da una spaventosa emigrazione verso l’estero, verso le “Americhe”. Palermo è superata da Torino, e poi anche da Genova. Ma la crescita non si ferma. Sia pure in regime di dualismo interno la crescita economica c’è, e si traduce in crescita anche demografica.

Nel 1936 si raggiungono i 4 milioni di abitanti. 

Nel Dopoguerra, dopo la battuta d’arresto del conflitto, è esplosione. Durante la “I Repubblica”, in un clima economico sempre più assistenziale, nonostante lo svuotamento dell’interno e dei borghi agricoli, nella costa e nelle grandi città la crescita è impetuosa.

Nel 1991 si arriva un pelo sotto i 5 milioni di abitanti.

Da quel momento crolla un sistema e si entra in una nuova fase di stagnazione, con piccoli passi avanti e piccoli passi indietro.

Il punto più alto, dopo anni di crescita quasi piatta, si raggiunge nel 2014.

Nonostante la Grande Crisi del 2009 la Sicilia, anche per l’afflusso ormai di immigrati dall’esterno, continua per inerzia a crescere lentamente, arrivando appunto in quel punto di massimo poco sotto i 5 milioni e 100 mila abitanti.

Da quel momento in poi il declino e poi il crollo. Leghiamo questi fatti alla cronaca politica. La Sicilia “parlamentare” chiude i battenti nel 2001, e il primo Presidente è Cuffaro, che “regna” incontrastato per sette lunghi anni, fino al 2008. Poi è la volta di Lombardo, che regge il timone in un periodo ormai sempre più tempestoso, sino al 2013.

Nel 2013 con il suo processo, la Sicilia politica è sostanzialmente decapitata e, da allora, commissariata dall’Italia che le riserva una pollitica di austerity con cure da cavallo insostenibili.

Il declino demografico coincide con il commissariamento, ormai strutturale, in cui i “presidenti” (che si chiamino Crocetta, Musumeci, o, ora, Schifani) non contano più nulla. Accanto al declino demografico si assiste a un crollo verticale economico e sociale senza precedenti.

La crisi del Covid e tutto quello che ne è seguito sta facendo il resto. L’Autonomia differenziata delle regioni settentrionali si presume aggraverà e accelererà questo processo di decadenza, anzi di caduta libera. Per non parlare della imminente revoca del reddito di cittadinanza, strumento di sopravvivenza drogata, certo, ma che ha garantito un flusso di reddito/elemosina verso la Sicilia, essenzialmente come voto di scambio politico a favore dei 5 Stelle, e che ora non ci sarà più. Altra emigrazione, altra disperazione.

I numeri, impietosi, di questo declino:

2015: 5.092.080 (– 2.857) (– 0,06%)

2016: 5.074.261 (– 17.819) (– 0,35%)

2017: 5.056.641 (– 17620) (– 0,35%)

2018: 5.026,989 (– 29.652) (– 0,59%)

2019: 4.908.548 (–118.441) (– 2,36%) [dato che incorpora un riallineamento per tener conto di chi era residente solo formalmente in Sicilia]

2020: 4.875.290 (–33.258) (– 0,68%)

2021: 4.833.705 (– 41.585) (– 0,85%)

2022: 4.801.468 (– 32.237) (– 0,67%)

Se all’inizio una lenta decrescita poteva anche essere salutata con favore, perché magari segnava un decongestionamento di una Terra troppo avara di possibilità di costruire il proprio futuro, la tendenza all’accelerazione del declino ora non può che preoccupare. Adesso il declino sta assumendo il carattere di una fuga tumultuosa, soprattutto di popolazione giovane, e non più solo dall’interno, ma anche dai maggiori centri. È come se ogni anno una media cittadina della Sicilia, come Sciacca ad esempio, venisse bombardata e i suoi abitanti sterminati.

Non riesco a tener conto della popolazione immigrata, perché non esistono censimenti etnici in Sicilia. La popolazione residente senza cittadinanza è un dato parziale, perché ci sono molti immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza ma non hanno cessato di vivere nelle loro comunità, di parlare la loro lingua e di rimanere quindi, rispettivamente, “cinesi”, “bengalesi”, etc. pur essendo formalmente siciliani. Sarebbe un dato interessante, senza alcuna stigmatizzazione della presenza straniera in quanto tale, poter stimare la popolazione “etnicamente” siciliana, contando per tale, ovviamente, anche quella parte di immigrazione ormai completamente integrata ed assimilata. Non abbiamo questo dato, ma temo che se lo avessimo le percentuali sarebbero ancora più drammatiche per i Siciliani “etnici”.

In una parola la Sicilia come Nazione e i Siciliani come Popolo stanno morendo, si stanno estinguendo, e, quel che è peggio, nel silenzio generale.

Spetta a noi sopravvissuti, giovani e meno giovani, organizzare una resistenza e una riscossa, prima almeno che sia troppo tardi. Ma per farlo non possono essere mantenute le attuali coordinate geopolitiche della Sicilia, perché sono proprio le stesse che l’hanno distrutta.

A buon intenditor, poche parole.

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