Il Mezzogiorno si sta veramente riscattando?

Credo di avere le idee piuttosto chiare sul presunto “recupero” del Mezzogiorno sul Centro-Nord nel 2020-21 per cui tanto si sta strombazzando in questi giorni: “Il Sud cresce 4 volte la Germania e la Francia!”. 

Il nostro Schifani è in brodo di giuggiole per il “successo dell’economia siciliana” e delle politiche congiunte di Stato e Regione, del PNRR, etc. etc.

La spiegazione è del tutto elementare, e non esattamente esaltante.

Intanto va detto che nel biennio in questione il Centro-Nord cresce sempre più velocemente del Sud, ma il divario si è ridotto a tre decimali, un’inezia statistica. Quindi, per mettere i puntini sulle i, non è che il Sud sta raggiungendo il Nord, ma semplicemente il Nord si sta continuando ad allontanare dal Sud, ma con una velocità molto minore.

Nota metodologica: sopra ho detto “Nord” e “Sud” per semplificare, ma non è corretto. È più corretto parlare di “Centro-Nord”, perché l’economia italiana, dalle Alpi a Roma, è praticamente tutta una cosa, con piccole differenze regionali; ed è altrettanto più corretto parlare di “Mezzogiorno”, perché il “Sud” propriamente detto non comprende le due grandi isole di Sicilia e Sardegna. Questo secondo l’Istat, non secondo me. Giusto per evitare confusioni.

Torniamo a noi.

La spiegazione è estremamente elementare, da manuale di macroeconomia di 1° anno di università, almeno di quelli dei miei tempi, quando Keynes non era ancora stato sfrattato dalla rovinosa “nuova economia classica”.

Si sta parlando del 2020/21. In questi anni si è avuto, e ne ha beneficiato prevalentemente il Mezzogiorno, il combinarsi di due provvedimenti:

  • il reddito di cittadinanza, da me sempre criticato come strumento generale, in quanto generatore di spesa per consumi largamente improduttiva, e comunque non risolutivo, che però ha avuto effetti positivi congiunturali;
  • i bonus edilizia, che hanno consentito una defiscalizzazione della spesa per investimenti.

Entrambe le misure, dettate (così dicevano) dall’emergenza pandemica, sono state misure potentemente espansive. Da un lato con il “lockdown” si è data una batosta, incomprensibile, immotivata, all’intera economia del continente europeo. Dall’altro, con questi due pannicelli caldi, si è offerto un sollievo parziale. Chi ne ha beneficiato non è detto che sia chi più aveva sofferto della misura restrittiva generale, con la conseguenza che le distanze tra un Centro-Nord industrializzato (e ora deindustrializzato) e un Mezzogiorno assistito (e ora ancor più assistito) si sono “quasi” avvicinate. Ed è singolare che neanche questo abbia consentito un riavvicinamento reale in termini relativi o assoluti, ma soltanto una tendenza assai debole al chiudersi della forchetta.

Il primo provvedimento (il reddito di cittadinanza), con tutti i suoi difetti, ha fatto aumentare la domanda interna. Questa si è rivolta, in parte, anche a beni e servizi prodotti nel territorio. Ha quindi contribuito effettivamente alla crescita dei territori che hanno sfruttato questo strumento. 

Quindi, in una parola, il reddito di cittadinanza è stato il primo vero effettivo trasferimento di ricchezza dal Centro-Nord al Mezzogiorno che si ricordi dai lontani, lontanissimi, tempi della Cassa del Mezzogiorno. Si è trattato di un trasferimento fiscale sensibile, che non solo ha riattivato al Mezzogiorno taluni processi produttivi, ma che, per questa via, ha consentito anche un aumento del gettito tributario locale (parte del quale, in Sicilia, affluisce direttamente alla Regione, che pertanto dovrebbe nel prossimo anno vedere in parte alleviate le proprie pene da questo “tesoretto”, conservate la profezia, anche se ne prevedo un uso in gran parte clientelare visti i soggetti…).

Non mi soffermo sui limiti strutturali di quella che è e resta un’elemosina, tanto più se corrisposta in maniera generalizzata, ma non vi è dubbio che nel breve termine è stata una ciambella di salvataggio per un sistema che riceveva al contempo la “sberla” del lockdown, potente alle nostre latitudini non troppo diversamente che altrove. La teorica keynesiana dell’effetto espansivo della domanda pubblica è stata ancora una volta pienamente confermata dai fatti.

Il secondo provvedimento (il bonus fiscale), è un po’, invece, alla “reaganomics”, l’espansione, cioè, per via della defiscalizzazione. Ed ha funzionato parimenti, anche se il Governo Draghi-Meloni, a un certo punto, ha tirato il freno a mano impedendo che i relativi crediti fiscali circolassero come valuta parallela, ciò che avrebbe avuto effetti ancora più potenti sull’economia. Non solo. Non solo c’è stata una defiscalizzazione, ma questa è avvenuta solo per spese di investimenti in quel bene durevole che è il mattone. L’ondata di ristrutturazioni che ne è seguita ha generato un indotto assai potente che, nelle regioni più povere come la nostra, ha quasi contrato la generale recessione che ha investito il Paese.

Di fatto, sia pure con i limiti di essere un provvedimento soltanto congiunturale, e per molti versi contraddittorio, il provvedimento ha funzionato. Anche qui, come nel reddito di cittadinanza, una parte della spesa pubblica è stata compensata da una maggiore entrata tributaria (e, detto tra noi, nel caso della Sicilia, una tantum, il soggetto che beneficerà della maggiore entrata, in parte la Regione, non è lo stesso che ha sostenuto la spesa, lo Stato), così pure per gli incentivi edilizi la minore entrata tributaria è stata in gran parte compensata dalla maggior entrata indotta dall’impennarsi degli investimenti (qui, per la Sicilia, sono conti a farsi, perché la defiscalizzazione ha colpito anche la Regione).

Per contro la deindustrializzazione che ha colpito tutta l’Europa ha potuto colpire con maggiore severità quelle regioni che la classica politica sperequativa dello Stato italiano ha sempre favorito sin dalla propria nascita.

Tutto qua.

Quindi, cari amici, non fantastichiamo su segnali deboli di inversione di tendenza. Si è trattato di un fatto congiunturale che, cessati i provvedimenti che lo hanno causato, non dovrebbe ripetersi. Lo Stato italiano da quando è nato è una macchina che toglie al Sud per dare al Nord. E sarà sempre così finché esisterà o finché non sarà rifondato in modo radicale. Ci sono state nella sua storia alcune eccezioni transitorie, e questa è una di quelle.

L’aspetto positivo è che si dimostra che con una politica fiscale autonoma, cosa che per la Sicilia è sempre teoricamente possibile se si attiva finalmente lo Statuto, i problemi di disoccupazione e sottosviluppo restano un ricordo.

Le politiche a deficit, attraverso la defiscalizzazione e l’aumento della spesa pubblica, in gran parte ripagano se stesse. E, per la frazione non ripagata, si può provvedere, anziché con il debito, che ha limiti strutturali, con una parziale monetizzazione dello stesso, anche questa possibile dal combinato disposto degli artt. 40 e 41 dello Statuto. Persino dentro la UE. Meglio, naturalmente, se questa non ci fosse, viste le sue deliranti e incorreggibili politiche di austerità e recessione.

E, ancor meglio dello Statuto, le stesse politiche potrebbero e dovrebbero essere attivate con uno stato proprio, pienamente sovrano. L’unico problema, in quel caso, sarebbe quello della credibilità internazionale, che, oggi come oggi, a voler essere buoni, non premierebbe certo la valuta di una Sicilia indipendente. Ma in un contesto di piena indipendenza probabilmente cambierebbe tutto. E la credibilità non sarebbe solo quella presso i soliti mercati “western” degli avvoltoi, ma anche quella politica che oggi è possibile attraverso una negoziazione a 360° in un mondo sempre più libero dalla dittatura americana. Quello che è possibile per la Tunisia o l’Etiopia perché non dovrebbe essere possibile per la Sicilia?

Ma forse, oggi, è solo utopia e ci si deve muovere più saggiamente dentro le architetture istituzionali esistenti. Architetture che consentirebbero, se l’Autonomia confederale teoricamente vigente fosse presa sul serio, di spezzare le logiche dell’assistenza e del sottosviluppo.

2 commenti
  1. Marco Lo Dico
    Marco Lo Dico dice:

    Mi chiedo se oltre a quanto descritto nell’articolo possa avere contribuito anche il lockdiwn. Durante il lockdiwn lo smartworking ha consentito il rientro di diversi meridionali al sud…
    Un travaso di persone/forza lavoro da Nord a Sud avrá trasferito consumi da Nord a Sud..in questo caso quanto può avere influito se ha influito.
    Ricordo anche un articolo di un aumento di iscrizioni a corsi universitari anche condizionate dalla situazione pandemica.

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