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Il Rendiconto del 2019 nel 2021, il Governo regionale esulta: ma è vera gloria?

Mi si chiede cosa ne penso del giudizio di parificazione del Rendiconto della Regione. Non avrei molta voglia di occuparmi di bilancio della Regione. La politica siciliana è di questi tempi “sorda e grigia”.

Ma il tema, per la sua paradossalità, merita attenzione.

Il Governo coloniale, cioè quello regionale, “esulta”: Musumeci e Armao parlano di “svolta” nei conti della Regione, ma si guardano bene dallo spiegarci in cosa consisterebbe esattamente questa svolta.

La Corte dei Conti non boccia, e questa già sarebbe una notizia, ma fa tutta una serie di rilievi e reprimende (e l’esaltazione deriva da questo? Dal fatto che si sono limitati a qualche scappellotto?).

La stampa nazionale stranamente tace. Nessuno che recita i soliti peana contro la Regione sprecona etc. etc. Hanno altro da pensare? I vaccini prima di tutto?

Vediamo un po’…

In realtà, senza neanche entrare nelle questioni specifiche, c’è qualcosa che non torna, se un rendiconto che doveva essere approvato nei primi mesi del 2020 e che arriva a metà del 2021. Ma soprattutto se arriva quando già i documenti di programmazione che dovevano essere fondati sullo stesso sono già stati avviati.

Il Bilancio 2021-23 infatti è già stato approvato. Ma se non erano noti i dati del 2019, le previsioni del 2021-23 come sono state fatte?

Il bilancio funziona così, detto “terra terra”. Alla fine dell’anno si approva il preventivo per il triennio successivo. Nei primi mesi dell’anno arrivano i dati del consuntivo dell’anno immediatamente precedente, in tempo per fare l’assestamento del bilancio in corso e poter bene programmare il triennio successivo.

Ma se nel frattempo il consuntivo non arriva che si fa? La Regione ha approvato un preventivo senza avere nemmeno potuto avere un assestamento dell’anno precedente che tenesse conto dei dati del rendiconto. Quindi ha approvato un preventivo fatto su numeri eccessivamente aleatori.

Esiste un principio, che è la continuità dei valori, per il quale i valori di apertura sono quelli di chiusura dell’anno scorso. Non ci vuole la laurea in “economia e commercio” per capirlo.

Tanto è vero che, tra le voci di entrata, si stima quella che sarà la giacenza iniziale del risultato di amministrazione all’1 gennaio. Ma poi, quando si ha il consuntivo, e si sa quanto era veramente, si aggiorna il bilancio in corso con l’assestamento, e quindi si danno dati attendibili per le programmazioni dell’anno (o meglio triennio) susseguente. In questo modo, senza avere avuto i dati a consuntivo del 2019, il bilancio attualmente in vigore è fondato sulla sabbia.

Se tu approvi il rendiconto un anno dopo, ora che fai? Ora faranno l’assestamento del 2020, a 2020 “morto e sepolto”, e si prenderanno quanto per fare questo? Altro mezzo anno? E quando lo avremo il rendiconto del ’20? Nel 2022?

Ma ci rendiamo conto che questa situazione non esisteva neanche sotto le bombe durante la II guerra mondiale?

Vero è che la Regione fino al 1965 non aveva rendiconti approvati, ma quelli provvisori ad uso interno erano buoni. E non ne aveva perché l’accordo finanziario tra Stato e Regione del 1947/48 doveva essere “provvisorio”. E quindi in teoria poi si sarebbe dovuto conguagliare tutto il dare/avere dal 1947 in poi. Poi nel 1965 il “provvisorio” diventò definitivo e il conguaglio, a nostro favore, non è mai più arrivato. Ma quella ormai è una storia lontana.

Si dirà che ora c’è stata la “crisi del Covid”. Ma – visto che questa situazione è unica in Italia – non mi si dica che solo la Sicilia ha avuto questa crisi. Il problema deve essere un altro.

 

Ma il problema, naturalmente, è più generale. Da sempre ormai la Regione approva, approva, approva, ma che approva? Approva, in ultima analisi, esattamente tutto ciò che viene dettato per filo e per segno da Roma. L’autonomia finanziaria della Regione siciliana è ormai molto al di sotto di quella delle Regioni a statuto ordinario. La Sicilia, mediante meccanismi che abbiamo già spiegato in altra sede, è letteralmente una colonia in cui non si muove foglia che il MEF non voglia. Commissariati dai tempi di Crocetta almeno, se non da prima ancora. E commissariati per sempre.

Nonostante ciò, siccome a Roma danno ordini generali, ma poi lasciano l’ingrato compito di chiudere i conti in locale, la Regione, anche per evidenti carenze di competenze specifiche, ma anche – diciamolo chiaramente – perché nessuno ha la bacchetta magica, stenta a chiudere i bilanci, e alla fine, vuoi o non vuoi, è costretta a ricorrere a qualche artificio contabile.

Da canto suo, la Corte dei Conti, che evidentemente non ha alcuna interlocuzione valida con la Regione, si limita a riprendere e a bacchettare questi trucchetti contabili, senza andare mai al cuore della Questione Siciliana.

E il cuore è che  la Regione NON PUÒ svolgere i compiti che le sono stati affidati se tutte le risorse che servono allo scopo sono dirottate a Roma e le sono state lasciate solo le briciole. Questo non si può dire, perché l’interesse dello Stato esige che il saccheggio della Sicilia continui imperterrito. Non si può neanche del tutto negare la parifica, facendo clamorosamente fallire la Regione, perché ciò farebbe esplodere il problema e qualcuno forse inizierebbe a capire.

E allora la si lascia al lumicino, con quel filo di ossigeno che serve per non collassare, con continue e umilianti bacchettate da MEF e Corte dei Conti, che evidentemente mancano di senso istituzionale e non sanno che significa “leale collaborazione”, lasciando in piedi un fantasma di autonomia regionale, che, labialmente, serve, serve, serve, serve da parafulmine per poter additare ai Siciliani la ragione del collasso. Ma forse ora neanche a questo serve più, perché con la crisi (indotta dalla cricca al potere) sanitaria globale non si capisce più quanta parte è crisi “italiana” e quanta specificamente “siciliana”. Infatti di Sicilia non parla più nessuno.

Tra incompetenza e remissività locale, e approssimazione e arroganza centrale, la Regione siciliana è un’amministrazione derelitta, che non è in grado di far altro che distribuire qualche magro contributo ai pochi che ancora vanno a votare, garantire qualche scassatissimo servizio pubblico, favorire il saccheggio italico, e che non è in grado neanche di rinnovare quel minimo di burocrazia che le serve, costretta a prorogare il contratto ai tirocinanti, perché la Sicilia, dal 1991 (!), non può più fare concorsi.

Per cercare di rosicchiare qualche soldino qua e là, la Regione poi saccheggia a sua volta e fa le pulci ai miserabili enti locali siciliani, abbandonati da Dio e dagli Uomini, e ormai tutti praticamente falliti. Naturalmente i sindaci, che sono i principali capri espiatori della Questione Siciliana, si guardano bene dall’alzare la testa, tutti o quasi più o meno “ammanigliati” con la cricca al potere. Arriva Miceli e lancia il “grido di dolore” a Roma: “Draghi, salva tu i Comuni siciliani!”. La pecora che grida al lupo: “Salva tu i miei agnelli!”. Devo pure commentare questo?

O devo commentare l’audizione in ARS della Commissione paritetica? Quella stessa che invece di fare norme speciali sulla contabilità pubblica come consentiva il D. 118/2011, lo recepisce integralmente alla virgola? E di che cosa vogliono parlare in ARS, dopo che questo stesso governo ha regalato persino la riscossione allo Stato, anziché prendersi l’accertamento, come fatto da altre regioni a statuto speciale?

In realtà non c’è nulla da commentare sulla Questione Finanziaria siciliana e sul suo bilancio. La Regione siciliana è colonia! Punto e basta. Ed è destinata ad essere massacrata, sino a che non vedremo anche solo un deputato indipendentista tra gli scranni di Sala d’Ercole. Fino ad allora non ci sarà alcuna storia. Se questo accade, invece, la musica comincia a cambiare. Ma dobbiamo tagliare i ponti con ascari, globalisti, feudatari del voto, post-democristiani e affini

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