Il Sicilianismo al tempo del Covid
Il Sicilianismo, nei suoi vari orientamenti, nasce come orientamento politico che vede nella Sicilia una vera e propria Patria, una Nazione e quindi nell’appartenenza della Sicilia all’Italia una condizione innaturale e sostanzialmente illegittima.
Le soluzioni poi date vanno dal mero autonomismo al più fiero separatismo, con tutte le gradazioni intermedie, ma già questo riguarda la prassi, un’altra faccenda.
Per il Sicilianista (quello VERO), la Questione Siciliana nasce con la cancellazione della Sicilia dalla mappa geopolitica degli stati europei, quel nefasto 8 dicembre 1816 e di tutto quanto seguì fino alla non meno nefasta annessione dello Stato di Sicilia nel Regno d’Italia.
Finché permane questa violazione dello stato di diritto noi non saremo mai un popolo libero. La Sicilia ha diritto alla libertà e all’autogoverno, precondizione per diventare un paese normale.
Ma la libertà non si declina sempre allo stesso modo.
Se è vero che l’agonia si prolunga da più di 200 anni, è anche vero che la condizione coloniale della Sicilia da allora ad oggi ha conosciuto molti cambi di condizione e di “padrone”. Non vederlo significa non adattare la lotta per la liberazione ai contesti di volta in volta vigenti.
Il rischio che oggi intravedo è che il Sicilianismo usi paradigmi “vecchi”, novecenteschi, non più adeguati alla realtà in cui siamo inseriti.
Ricapitoliamo, dobbiamo sempre farlo per mantenere lucidità.
All’inizio era un’usurpazione borbonica, un’annessione illegittima al Regno di Napoli contro la quale abbiamo lottato attivamente, con le armi, per 44 anni, riuscendo per 18 mesi di fila (1848/49) a riconquistarci la piena indipendenza. Questa stagione ormai è conclusa, affidata alla storia. Non ci perdiamo neanche troppo tempo.
Poi venne l’annessione/assimilazione al Regno d’Italia, con cui inizia e si rafforza nel tempo il vero e proprio colonialismo economico, soprattutto da parte del Nord Italia. All’interno di questa ampia fase se ne distinguono almeno tre: una prima, da occupazione militare, fino al 1876 circa, una seconda, in cui lo Stato espressamente collabora con la mafia, sua creatura, per coinvolgere i ceti collaborazionisti, con un rigurgito di repressione militare durante i “Fasci”, che va fino al 1922 circa; una terza, durante il fascismo, in cui i rapporti di sfruttamento si fanno quanto mai brutali e la Sicilia è ridotta a colonia di sfruttamento agricolo. Anche questa stagione è conclusa, oggetto di storia. Si creano in questa lunga fase le basi per la perdita di autocoscienza nazionale dei Siciliani, attraverso la Scuola e la Stampa, e infine pure la Radio. Ma anche questa è ormai storia su cui non perdere troppo tempo.
Poi c’è stata la Repubblica, io dico dal 1946 al 2009 (ora vedremo perché proprio il 2009). In una prima fase, con la grande stagione del Separatismo (1943-48) la Sicilia, approfittando della sconfitta italiana, scuote il giogo e si costituisce in Regione autonoma, con uno Statuto alle soglie dell’indipendenza, la cui sostanza, pure se affidata ai partiti italiani, è viva e vegeta fino al 1956, con un sussulto nel 1960.
In una seconda fase interviene, progressivamente, la normalizzazione e lo svuotamento della Carta autonomistica, fino a rendere la Sicilia una regione a statuto speciale “al contrario”, cioè meno autonoma di quelle ordinarie, una sorta di governatorato coloniale prostrato dal saccheggio della Penisola che si fa sempre più feroce.
Tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo la condizione di colonia interna è così evidente e drammatica che, nonostante la cesura della propria autocoscienza nazionale, nonostante il monopolio italiano, anche in Sicilia, dell’informazione e della formazione, qualcuno comincia ad accorgersene. Dopo essere stato a lungo sopito, io dico “drogato” dall’assistenzialismo, il sentimento nazionale siciliano fatalmente ricompare, sia pure piuttosto confuso e si manifesta principalmente attraverso svolte “autonomiste” di vecchi notabili siciliani della politica (Lombardo più di tutti forse) o la progressiva disaffezione dei Siciliani verso la politica di ogni colore. Il Sicilianismo propriamente detto rinasce, ma all’inizio è privo di una classe politica riconoscibile e coesa, diciamo che è un lento “fermento” ancora improduttivo di risultati tangibili.
Ma, a questo punto, succede una cosa che non deve sfuggire all’analista più attento. Il 2009. Che succede nel 2009? Entra in vigore il Trattato di Lisbona e nel frattempo la crisi globale ha dispiegato tutto il suo potenziale. Perché questa data è dunque così importante?
Nel mio “Compendio di Storia politica e istituzionale” della Sicilia ritengo questo passaggio una svolta, il passaggio dalla “dominazione italiana” alla “dominazione europea” della Sicilia. Vero è che, in chiave anti-URSS, la cd. integrazione europea muoveva i suoi passi dalla fine della II Guerra mondiale, con avanzate seguite da battute d’arresto, e vero è che già dal 1992 la vecchia Comunità Economica aveva lasciato il passo ad un’ormai politica “Unione”. Ma è anche vero che questo processo arriva al suo punto terminale proprio con il Trattato di Lisbona, già “Trattato costituzionale della Confederazione”, bocciato in Francia e Paesi Bassi, e riproposto sotto mentite spoglie nel linguaggio burocratese di Bruxelles.
Con Lisbona gli stati membri non cedono più “parte della loro sovranità”, come era sempre stato in passato, ma “cedono la sovranità” tout court. Non entro nei dettagli tecnici per dimostrare questo assunto.
Con l’entrata in vigore del Trattato l’Italia perde ogni residua autonomia di politica economica e, di lì a poco, i suoi stessi governi non sono più espressione di alcuna consultazione elettorale ma sono direttamente nominati o “consigliati” dalle tecnocrazie di Bruxelles. Anche questo è un fatto difficilmente negabile.
Che ci sia stata una svolta si nota anche dalla mutata politica regionale dell’UE. Dapprima, e per decenni, l’Europa aveva “carezzato” le regioni in chiave “antistatale”, per indebolirne dal basso la sovranità. Per questo si era costituito il “Comitato delle Regioni” ed altre coreografiche “carte da parati”. Da Lisbona in poi, essendo ormai gli stati, soprattutto quelli in Eurozona, fedeli prefetture della tecnocrazia, le “regioni” sono state abbandonate a loro stesse, anzi, sono state viste come un pericoloso fomite di sovranità popolare ormai fuori tempo massimo. I nazionalismi locali vengono così abbandonati alla tirannia degli stati, non servendo più a nulla. Se molti dei “regionalisti” o “nazionalisti locali” non lo hanno ancora capito, dalla Scozia, alla Catalogna, passando per molti “autonomisti e indipendentisti” di varie regioni d’Italia, ciò va solo a demerito della loro intelligenza e a testimonianza della loro incapacità di comprendere come ormai la UE NON STA PIÙ dalla loro parte, qualunque siano i loro sogni. Un’Europa delle piccole patrie ormai appartiene al mondo delle utopie, non meno della fantomatica “altra Europa” che politici venduti di ogni sponda vendono alle elezioni, per poi mettersi sistematicamente la coda in mezzo alle gambe. Non esiste alcuna “altra Europa”; l’Europa è questa, la Von der Leyen, la Lagarde, con il suo volto disumano, non ce ne sono “altre”, non ce ne possono esser altre.
In queste condizioni lo status della Sicilia inevitabilmente fa un gigantesco passo all’indietro. Orrmai la condizione è quella di “colonia di colonia”. Non essendo sciolti i vincoli-capestro per cui eravamo colonia interna al traino della “quinta potenza industriale”, ora siamo colonia di una sciacquetta europea, costretta a far bilanciare i conti sempre più magri, a spese dei più deboli, cioè del Mezzogiorno o, molto peggio, della Sicilia, che diventa né più né meno che una sorta di nemico nazionale, da spremere come un limone ed abbandonare al suo destino.
La mancanza di una rappresentanza politica propria, la totale assenza di “senso della nazione” nei nostri rappresentanti, selezionati sulla base dei criteri opportunistici peggiori, ha fatto il resto.
La Sicilia sotto dominazione “europea” non è più solo sfruttata, ma letteralmente muore, sparisce, i suoi abitanti non creano nuovi abitanti o vanno via, viene lentamente ripopolata, per mansioni umilissime, da esseri umani provenienti da chissà dove e non legati alla terra su cui ora posano i piedi. Gli autoctoni sono oggetto di un sottile genocidio, culturale, economico, sociale, politico. La “zita è chista”, anzi era “chista” fino al 2019.
E fino al 2019 questo aveva fatto insorgere alcuni generosi che finalmente avevano dato forma al Sicilianismo politico, soprattutto con Siciliani Liberi. Ancora presto perché potessero raccogliere i frutti, ma l’alternativa era ormai posta.
Un’ultima illusione nel contenitore di Grillo aveva attratto masse di Siciliani depoliticizzate e denazionalizzate, ma come tutte le illusioni anche questa non poteva durare a lungo. Sembrava che un riscatto fosse possibile.
E qui arriva il 2020…
Il 2020 è un altro cambio di regime. Se non lo capiamo o siamo ipocriti o siamo cretini, non ci giriamo intorno.
Cosa è successo dunque nel 2020? Qui posso dare la mia interpretazione. Anche la dominazione europea, evidentemente molto transitoria, è terminata. Ora facciamo parte dell’Impero globale occidentale. Qualcuno dirà che ne facciamo parte dal 1943… Ecco, non distinguere è segno di scarsa intelligenza. Un conto è fare parte di un’egemonia, un conto è fare parte di un vero e proprio impero. Anche la UE… un conto è essere comitato d’affari dei poteri forti, un conto loro diretta espressione che non media più niente ma prende semplicemente ordini. Distinzioni sottili, ma importantissime.
Il golpe negli USA durante le presidenziali, quello vero, che ha portato con i brogli la marionetta Biden alla Casa Bianca, non ha precedenti nemmeno lontanamente paragonabili. Da allora non ci sono più costituzioni, diritti, libertà, elezioni. C’è solo Big Pharma, e le Big Tech, concentrato finanziario globale di pochissime famiglie che sono ormai e si sentono “padroni del mondo” alla luce del sole. Il loro portavoce ufficiale, Bill Gates, non fa più neanche finta di parlare da imprenditore, parla direttamente da Imperatore, che detta le leggi, che chiama i presidenti del consiglio, che dà ordini: oscuriamo il sole, limitiamo le nascite, vacciniamo tutti. Lui decide, i prefetti eseguono, da Biden a Musumeci, anzi a Orlando.
Il nostro tessuto imprenditoriale e professionale, quello sopravvissuto al colonialismo, rischia ora seriamente di essere spazzato via. La situazione è semplicemente tragica.
Confesso che per qualche tempo ho sperato che Trump, con tutti i suoi difetti, potesse essere un argine sovranista al nuovo ordine. Con lui alla Casa Bianca e la UE nelle mani dell’Impero ci potevano essere i classici due piccioni con una fava. Senza rompere con gli USA il Sicilianismo avrebbe potuto anzi sfruttarne l’amicizia per liberarsi in un colpo solo dell’italia, della UE e della Covidditatura. Ma le cose non sono andate così. Auguri ai “resistenti” negli USA, ma qua dobbiamo fare da soli. O, per essere chiari, guardare “oltre cortina”.
Dobbiamo prendere atto che non ci sono “tanti” nemici, ma un nemico unico. Liberare la Sicilia deve significare liberarla a 360°.
Sarebbe un errore, un errore gravissimo, trincerarsi nelle nostre rivendicazioni ante 2020: la ZES integrale, l’attuazione dello Statuto, il bilinguismo, la preparazione dell’indipendenza, la moneta complementare, le politiche familiari attive, e tutto quanto il resto del nostro programma. Nulla di questo deve essere abbandonato, tutto deve essere presidiato, ma ora non basta più.
Ormai abbiamo il dovere di saldare tutto questo con le proteste antisistema, con ogni mezzo. Dalle cause giudiziarie, alle manifestazioni, alla presenza alle elezioni, alla comunicazione su web e per strada. Dobbiamo prendere posizione, a difesa del Popolo, della Società, della Famiglia, della Vita, contro l’attacco senza precedenti che si sta scatenando contro di noi.
Non dobbiamo averne paura. Non ci sarà nessuna liberazione della Sicilia se la Sicilia sarà morta. Anzi, su questi temi, dobbiamo essere noi in prima linea, per evitare che i Siciliani si vadano a buttare nell’ennesimo contenitore di passaggio.
Se è necessario, quindi, restiamo sì ancorati alla nostra Nazione, la Sicilia, ma teniamoci in contatto con i resistenti nell’Impero di ogni contrada, di qua e di là dell’Oceano. Isolani sempre, isolati mai.
Dobbiamo essere consapevoli che gli strumenti di lotta politica si sono ridotti. Non c’è libertà di circolazione, non c’è libertà di associazione, non c’è libertà di pensiero. Tutte le forme di aggregazione alternative e di circolazione del pensiero sono ormai impedite senza più alcun pudore. Anche questo va denunciato ogni giorno, vanno fatti svegliare i dormienti. Io stesso sono oggetto di attenzioni e non sono il solo: il mio account FB, già disattivato da agosto, e utile solo per accedere alla pagina, viene bloccato a ripetizione con pretesti non verificabili di “attività anomale”. Si deve resistere ugualmente.
Dobbiamo lo stesso presidiare il web dando loro fastidio con una continua intifada, ma allo stesso tempo dobbiamo tornare, che ce lo permettano o no, nel nostro campo: fuori dal web. Facciamo volantinaggio, riunioni, autorizzate o no. Facciamo circolare le nostre idee. E non pensiamo che debba fare tutto il “partito”. Anzi, proteggiamo il “partito” non facendolo esporre troppo. Dobbiamo essere 1000 cani sciolti, ciascuno nel suo piccolo, che fa la sua piccola guerra santa per liberare la propria terra.
La continua resistenza, quella inafferrabile, quella diffusa, logora ogni regime. Dobbiamo adottare tecniche di guerriglia (informativa) perché nella guerra frontale saremmo certamente sconfitti.
Alla fine la storia insegna che la libertà arriva prima o poi per i popoli che non si arrendono mai, neanche contro l’evidenza. La fede politica ha sempre sconfitto i mercenari e i calcoli di convenienza. Noi dobbiamo diffondere, ciascuno con i nostri mezzi, una fede politica nella libertà, e questa prima o poi non mancherà di arrivare.
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