Indipendentismo siciliano vs. Indipendentismo italiano – Un nuovo problema
E alla fine ci siamo arrivati. A 206 anni dalla perdita dell’indipendenza la Sicilia si trova di fronte ad un nuovo dilemma: il paese che ci ha conquistato, tolto la dignità di Nazione, colonizzato, avvilito, ha a sua volta perso l’indipendenza.
Ora ci troviamo in condizione di colonia interna di uno stato che è a sua volta un protettorato e quindi sostanzialmente una colonia esso stesso.
Non possiamo ignorarlo, non possiamo ignorare questo passaggio, perché impone delle scelte alla militanza nazionale siciliana.
Ripassiamo a velocità quello che è successo in questi 206 anni.
1816: un golpe incostituzionale cancella il secolare Stato di Sicilia, trasformandolo in una provincia dello stato di polizia partenopeo. La Sicilia non accetta questo nuovo status e fa almeno 4 rivoluzioni per scrollarsi il giogo suditaliano.
1860: al dominio suditaliano succede, quasi senza soluzione di continuità, quello italiano propriamente detto, a trazione nordista, che seleziona e salda a sé una classe dirigente locale parassitaria e delinquenziale. Inizia la dominazione italiana con caratteristiche che in sostanza arrivano sino ad oggi.
1943: l’Italia è sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e in Sicilia scoppia una guerra indipendentista. Questa termina nel 1946 con la concessione di uno Statuto confederale, teoricamente ancora vigente.
1956: dopo alcuni anni di pochi progressi e vita stentata, la Repubblica italiana si rimangia l’Autonomia appena concessa. È sciolta illegittimamente l’Alta Corte, baluardo dell’Autonomia, e poco a poco tutte le prerogative della Regione sono riprese dallo Stato, lasciando alla stessa solo una generale devoluzione di funzioni e spese, affidate ai tentacoli locali dei partiti nazionali, ai quali viene concesso un regime clientelare e assistenziale per favorire il consenso senza creare vero sviluppo.
1990: con la caduta del Muro di Berlino il modello assistenziale entra in crisi, e l’asse delle politiche italiane si sposta al Nord in maniera sempre più brutale. Il processo giunge a compimento con la grande crisi del 2008. Rinasce l’Autonomismo, incarnato per 4 anni dalla Presidenza Lombardo, in reazione a questi cambiamenti. Alla fine la Sicilia è nuovamente sconfitta e commissariata dal 2012 ad oggi, lasciando dell’Autonomia il solo involucro.
E qui avviene il fatto nuovo.
2011: con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la modifica dell’art. 81 della Costituzione, l’Italia perde la piena indipendenza, per diventare uno stato confederato soggetto alla tecnocrazia non eletta della UE. Nello stesso anno l’ultimo governo realmente eletto dai cittadini è rovesciato con un golpe finanziario e anche l’Italia resta di fatto commissariata. Il commissariamento, nei ministeri chiave e nelle politiche economiche e finanziarie, non avrebbe avuto più termine, sino ad oggi.
Il processo di progressiva perdita di sovranità dell’Italia aveva radici lontane, già dalla sconfitta del 1945, e poi con i lenti progressi dell’integrazione europea, ma se fino al 2011 si poteva parlare solo di una egemonia euro-atlantica sull’Italia, il 2011 è l’anno di svolta: appunto, la perdita dell’indipendenza.
Da questo momento per la Sicilia si apre un periodo infelicissimo: regione commissariata di un paese a sua volta commissariato.
Rinasce ovviamente l’indipendentismo, sia pure al momento come formazione marginale. Il momento di maggiore importanza è la costituzione di Siciliani Liberi nel 2016.
Ma, se fino al 2019 circa, la perdita di sovranità dell’italia interessava solo i rapporti con l’Europa, negli ultimi anni le condizioni di contesto peggiorano a vista d’occhio.
Dal 2019, infatti, le oligarchie finanziarie che dominano l’Occidente lanciano una specie di guerra mondiale ibrida contro l’umanità intera. In questo quadro tutti gli ordinamenti costituzionali sono nella sostanza scardinati e sottomessi ad una agenda, ormai alla luce del sole, dettata da organismi non governativi, non eletti da nessuno, che – a colpi di emergenze – smantellano ciò che resta della libertà, della democrazia, della sovranità dei popoli loro sottomessi.
L’Italia, come paese libero, anche parzialmente sovrano, dopo 3 anni circa di questo “trattamento”, che trova nell’emergenza pandemica il suo strumento principale, ma non l’unico (si pensi alla “emergenza climatica” o alla “guerra in Ucraina” e alla “crisi energetica”), in pratica non esiste più. Pur concedendo nuove “libere” elezioni (ma bandite in piena estate per evitare che forze realmente di opposizione avessero chance di avere rappresentanze in Parlamento), l’esito diventa indifferente. Ormai nelle istituzioni è inserito una sorta di pilota automatico. La politica non passa più dalle elezioni e dai parlamenti. L’informazione e la comunicazione, la scienza e la cultura, l’arte e la musica, sono oggetto di occupazione da parte di un regime totalitario, ormai invisibile solo a chi non lo voglia accettare psicologicament.
Di fatto, per la prima volta dal XIX secolo, in Italia è tempo per un nuovo indipendentismo. Ai margini della comunità politica, appena tollerati, sorgono movimenti e associazioni, spesso litigiosi tra loro, che si oppongono a questa catastrofe.
A mio sommesso avviso nessuna politica delle élite potrà fermarne il cammino, tutt’al più ritardarlo, con distrazioni di massa di varia natura.
Rispetto a questa novità l’indipendentismo siciliano in parte è colto impreparato. Il nuovo contesto non è immediatamente chiaro, e la militanza in parte sbanda, si divide, non comprende più quale sia il reale campo di battaglia, e questo proprio mentre moveva i primi passi nella propria riorganizzazione.
Siciliani Liberi “tiene”, va detto con orgoglio e chiarezza. Intorno a un programma e a una visione del mondo originale, e che sin dal Manifesto del 2016 aveva intravisto nel globalismo il vero nemico, non rompe le righe. Ma soffre per la burrasca impetuosa che tutto sembra travolgere.
È arrivato, quindi, il momento di capire, con chi stare, per chi e per che lottare. A mio sommesso avviso si aprono oggi tre strade all’indipendentismo siciliano, tutte e tre pericolose. Compito dei “patrioti” è trovare un terreno di sintesi che valorizzi le opportunità minimizzando i rischi.
Strada I: contro l’indipendentismo italiano e, per reazione, a favore dell’integrazione europea, atlantica e mondialista
Strada II: contro il globalismo senza se e senza ma, nelle grandi come nelle piccole cose, a fianco dell’indipendentismo italiano, purché questo dimostri di rispettare le ragioni della Sicilia
Strada III: contro tutti e contro tutto, senza alleati, solo per la Sicilia, contro l’Italia, contro la UE, contro la Nato, contro l’ONU, l’OMS, etc.
Ognuna di queste tre strade ha le sue ragioni e i suoi rischi.
La prima strada è quella che riscontriamo in non pochi indipendentismi europei, quello scozzese in testa. Ha una sua logica: il mio primo nemico è il colonialismo italiano; i nemici dei miei nemici sono miei amici; il globalismo è nemico del sovranismo italiano; quindi non può che essere amico mio.
Ha una sua logica; però le controindicazioni sono evidenti e fortissime.
Il punto è che questa benedetta agenda comporta anche lo smantellamento di tutti i centri decisionali, imprese, prodotti, locali, a favore di una generalizzata proletarizzazione e precarizzazione di tutto. Siamo pronti a togliere le pensioni? Siamo pronti a privatizzare la scuola? A parte il mio rigetto personale per questa agenda disumana, credo che politicamente questa scelta conduca alla semplice distruzione del Popolo Siciliano.
Ci ritroveremmo forse con una bandierina in più nel planisfero, ma sarà una bandierina vuota. Passati i primi vantaggi, sperimenteremmo umiliazioni “alla greca”, che forse ci farebbero persino rimpiangere la dominazione italiana.
E poi c’è il dilemma dei dilemmi: ma se noi non vogliamo l’indipendenza dall’Italia, quanto piuttosto dipendere da altri (la UE, ad esempio), siamo veri indipendentisti, o non siamo piuttosto “irredentisti”? Oggi i cd. indipendentisti scozzesi non vogliono affatto l’indipendenza, vogliono dipendere dalla UE, vogliono riunirsi alla UE. Sono irredentisti UE, altro che indipendentisti…
La seconda strada ha come motivazione quella di considerare che il globalismo è il più grande nemico, che minaccia la nostra stessa vita, e che quindi dobbiamo fare fronte comune con chiunque lo combatta.
Anche questo atteggiamento ha una sua logica, ma non mancano le controindicazioni anche in questo caso.
Si va dietro partitini italiani litigiosi e poco rappresentativi, anzi, si spendono le nostre migliori risorse per farli crescere, ma poi per restare sistematicamente alla loro ombra. Perché, delle due l’una. O non crescono, e abbiamo sprecato risorse. Ovvero crescono, ma a quel punto noi saremmo sistematicamente in un ruolo poco visibile e subalterno. Una volta che si scende a compromessi con i sovranisti italiani (quelli veri, la Meloni non c’entra proprio nulla), dobbiamo inghiottirne anche i simboli, il tricolore, etc.
E di fatto che senso ha lottare per essere colonia semplice anziché al quadrato?
A ben vedere entrambe le strade non sembrano andare verso la liberazione della Sicilia ma, rispettivamente, la prima ad un cambio di padrone, la seconda ad una semplificazione della catena di servitù. Ma servi siamo e servi restiamo.
La terza strada sembra sotto questo punto di vista la più coerente, ma sconta un rischio di poca credibilità. In un mondo in cui un mostro tentacolare strangola gli stati esistenti, chi crederà ad uno stato nuovo? Ci prenderanno per puri sognatori fuori dal contesto. Resteremo sempre ai margini. Perché il conformista sceglierà sempre il PD o Fratelli d’Italia, il contestatore cercherà sempre Italexit o qualche altro simile surrogato. Noi, sul punto, rischiamo di restare al palo
Non ho la soluzione ma penso, in prima battuta, che la strada migliore sia quella di un sano pragmatismo. Spostiamo le nostre battaglie intanto sui nostri temi. Creiamo una nostra consapevolezza e una nostra militanza. E quindi di fatto scegliamo la terza strada, da soli, ma con intelligenza e moderazione. Accettando quel tanto di UE che serve per contrastare il potere centrale dello Stato italiano (ad esempio invocando i benefici dell’insularità) e trattando da pari a pari con chi vuole difendere la sovranità dello stato italiano, di cui al momento bene o male facciamo parte, magari su temi specifici.
Il successo di questa battaglia si gioca sul piano della comunicazione e dell’informazione. Lì dobbiamo stare attenti a divulgare il nostro punto di vista siciliano senza farci censurare o emarginare.
Il problema in ogni caso è posto. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano gli amici indipendentisti.
Per quanto poco possa valere la mia opinione, ritengo che la strada da prendere sia la terza (III) con una buona dose di pragmatismo. Qundi, prof. Costa, condivido le sue conclusioni. Mi preme tuttavia rimarcare che non mi convincono affatto le Sue conclusioni riguardo ai risultati di SL alle ultime consultazioni regionali. Salutamu!