Ucraina e Russia: chi ha ragione? Un po’ di storia aiuta a capire
(l’immagine è tratta da Limes)
Sgombriamo subito il campo dai reali termini della Questione, che sappiamo benissimo: Zelensky non rappresenta esattamente gli interessi nazionali ucraini, ma è legato mani e piedi all’amministrazione Biden e ai suoi danti causa. Se volesse fare per un attimo gli interessi del suo paese chiederebbe immediatamente un cessate il fuoco, anche perché militarmente ha perso una guerra in cui si è cacciato in modo irresponsabile. Due giorni prima dell’invasione russa l’esercito ucraino, visto che la Russia non attaccava, ha lanciato un’offensiva nel Donbass. La risposta non si è fatta attendere.
Ma andiamo un passo indietro. Zelensky o non Zelensky, l’Ucraina ha diritto di esistere o no? Ha ragione Putin quando dice che come nazione non esiste o è una provocazione dettata dall’occasione bellica? Dobbiamo o possiamo fare qualcosa per salvarla dall’annessione all’“orso russo”?
La risposta, come sempre, può venire solo dalla storia, e cercheremo di darla senza stare da nessuna delle due parti in lotta.
Il territorio che si trova oggi nei confini dell’Ucraina internazionalmente conosciuti, tranne la Crimea, è rimasto ai margini della storia fin grosso modo ai tempi di Carlo Magno. Diciamo a parte la Crimea (e la costa del Mar Nero e Mar d’Azov), perché questa ha avuto una storia a parte sin dall’Antichità. Entrata nella storia con le colonizzazioni delle coste da parte degli Ioni, in Crimea in particolare la penetrazione greca fu cosi forte da grecizzarla tutta o quasi (un po’ come avvenne in parallelo in Sicilia). Nell’epoca ellenistica, sul modello delle monarchie di quei tempi, diventò un regno, quello che i Romani chiamavano Regnum Bosphori. Questo regno finì, diremmo oggi, in “unione personale” con il Ponto, oggi regione geografica della Turchia, con capitale naturale Trabzun (l’antica Trebisonda). Famosissimo il Re Mitridate. Il legame tra greci del Ponto e greci di Crimea fu sempre molto forte. Nel tempo avrebbero sviluppato entrambi una lingua neo-greca leggermente diversa da quella greca propriamente detta: il Pontico, appunto. Questo Regno, ad ogni modo, visse secoli, entrando infine nell’orbita dell’Impero Romano. I Romani, tuttavia, a differenza delle altre monarchie ellenistiche che furono assorbite tutte a una a una, compreso il Ponto, non annessero mai il Bosforo, che rimase sempre un loro satellite, dai tempi di Augusto circa fino al III secolo d.C., quando le invasioni barbariche lo travolsero.
Ma la Crimea non sarebbe rimasta a lungo risucchiata dalla barbarie. L’Impero Bizantino l’avrebbe riconquistata e infine persa. Poi, ai tempi delle invasioni asiatiche del Medio Evo, sarebbe stata popolata da Tatari e i Greci diventarono una piccola minoranza, che non è ancora sparita tutt’oggi. Non solo in Crimea, dove era più concentrata, ma anche in altre città costiere. È di questi giorni la notizia della comunità greca di Mariupol, afflitta dall’assedio come il resto della città. Dopo la pulizia etnica dei Turchi nel Ponto ai tempi di Atatürk alcuni pontici si rifugiarono al di là del Mar Nero, la maggior parte ripararono in Grecia propriamente detta e così la loro etnia sparì dalla storia.
La Crimea, però, è stata la cerniera attraverso la quale la civiltà greca, romana e poi cristiana è stata veicolata alle Regioni interne fino a che queste non l’hanno fatta propria.
L’interno, come dicevamo, resta a lungo ai margini della storia. Sulla Preistoria l’unica cosa degna di nota che abbiamo è che proprio l’Ucraina è la patria primordiale dalla quale sono fluiti gli Indoeuropei in Europa ed Asia.
A lungo quello che sappiamo sono solo cronache esterne. Ma è popolata da vari popoli nomadi o seminomadi che non mettono radici salde. Dapprima gli Sciti, popolo indoeuropeo che arrestò nelle steppe Dario I di Persia (di cui oggi resiste un piccolo popolo nel Caucaso, gli Osseti), poi altri popoli, più spesso indoeuropei, più raramente turchi o mongoli, tra i quali gli Alani, i Goti, gli Unni… A lungo terra di passaggio senza storia.
E finalmente arrivano gli Slavi. Quando i Germani orientali abbandonano il paese, spinti dagli Unni o dalla fame, la terra resta praticamente vuota, e un piccolo popolo indoeuropeo, fino ad allora semisconosciuto, che aveva vissuto per secoli nelle paludi del Pripjat, tra l’attuale Bielorussia e l’Ucraina, forse raggiunto da un livello di conoscenze tecnologiche che consente loro una rapida crescita, occupa il vuoto.
Gli Slavi si dividono in tre ceppi. Alcuni si lanciano a Sud, strappano terre all’Impero Bizantino al di là del Danubio, perdono i contatti con gli altri, si differenziano. Da loro derivano tutte le nazioni Jugoslave attuali. Anche i Bulgari, all’inizio un popolo turco, quando si stanziano nell’attuale Bulgaria e Macedonia, trovano una popolazione in maggioranza slava e si slavizzano.
Un altro ceppo si spostò verso ovest, occupando tutti i territori tra l’Elba e la Vistola grosso modo, e da questi sarebbero derivati gli odierni Polacchi, Cechi e Slovacchi.
Il gruppo originario, infine, quello dei cosiddetti Slavi orientali, si è semplicemente esteso a macchia d’olio, nelle regioni dell’attuale Bielorussia, Ucraina e Grande Russia o Moscovia.
Gli “Slavi orientali”, quindi, sono gli antenati comuni degli attuali Russi, Ucraini e Bielorussi. In questo senso, un po’, Putin ha ragione. A lungo questi “proto-russi” erano indistinguibili gli uni dagli altri. Erano semplicemente i “Russi” o “Ruteni”, come venivano chiamati nelle loro province più occidentali.
E furono questi a entrare nella storia grazie all’attività missionaria di Cirillo e Metodio, cui devono la loro lingua antica scritta (lo Slavonico) e l’alfabeto.
Ma è a questo punto (intorno all’VIII secolo d.C.) che l’Ucraina (e la Russia, ai tempi indistinguibili) esce dal buio della Protostoria. Si crea una rete di commerci lungo le grandi vie fluviali, la cosiddetta via “dai Greci ai Variaghi”, dove i “Variaghi” non sono altro che i Vichingi svedesi che in questa opera di colonizzazione e di creazione di primitive città hanno un ruolo determinante. A questo si aggiunge la lenta diffusione della scrittura e del Cristianesimo, soprattutto ad opera di missionari greci.
Greci da Sud, Vichingi da Nord, ma l’etnia russa resta incontrastata.
A un certo punto questi “russi” si danno un’organizzazione politica. La leggenda li fa discendere da svedesi, ma si tratta di una dinastia rapidamente russificata e considerata quindi nazionale (esattamente come i nostri Normanni di Sicilia erano una dinastia propriamente siciliana, sebbene proveniente dalla lontana Normandia e prima ancora dalla Norvegia o dalla Danimarca).
I Rurikidi (dal mitico Rurik, fondatore) avrebbero regnato sulla Russia fino ai primi del 1600, sostituiti poi dai Romanov, che sarebbero arrivati alla Rivoluzione Russa del 1917.
La capitale di questo “Gran Principato di Russia” era … Kiev! L’attuale capitale dell’Ucraina. L’attuale Russia, allora, era la frontiera di questo unico principato, e Mosca ancora doveva essere fondata, o era uno sperduto e non ancora noto villaggio.
In quest’epoca non c’è Russia o Ucraina o Bielorussia, ma solo un’unica grande Russia. Il principe Vladimir il Santo fa la scelta definitiva per l’Ortodossia, e da allora questo tratto diventa irreversibile.
Quando nasce dunque l’Ucraina?
Il principato di Kiev, nel tempo, si fraziona, anche se il titolo di “Gran Principe” spetta sempre e solo a uno dei vari sovrani (un po’ come in Occidente il titolo di Sacro Romano Imperatore era unico, ma l’Impero si era progressivamente frantumato). Spunta anche lì una specie di feudalesimo, lo stato si indebolisce, e si logora con guerre alla frontiera con popoli turchi: gli israeliti Cazari, che infine vengono distrutti (ma non la popolazione di religione ebraica che resterà sempre numerosa in Russia), o i “Bulgari del Volga”.
A un certo punto, nella prima metà del 1200, arriva la valanga mongola di Gengis Khan, e il principato di fatto sparisce. Le radici della distinzione tra Russia e Ucraina vanno ricercate forse in questo oscuro periodo tra 1200 e 1400.
I Mongoli veri e propri stanno poco in Occidente e il loro grande impero si sgretola, dando vita a un troncone, tra Russia meridionale e Ucraina, chiamato “Orda d’Oro”, egemonizzato dai Turchi Tatari.
Il Khanato dell’Orda d’Oro però non riesce a controllare direttamente tutta la Russia. Così nella periferia Nord ed Ovest del loro dominio lasciano stare tanti piccoli signori e signorotti russi, loro vassalli e tributari. E, tra questi, come investitura, danno di volta in volta il vecchio titolo di “Gran Principe di Russia”, a qualche ramo della vecchia dinastia Rurikida.
Questo periodo barbarico e caotico è chiamato “Epoca degli appannaggi”. Solo la Russia settentrionale sfugge al dominio mongolo-tataro, sostituito al massimo da qualche blando tributo. Lì, nel freddo nord della taiga, si forma una Repubblica di commercianti, la Repubblica di Novgorod, dove resiste la Russia indipendente e, forse, si incuba la nuova Russia.
In Bielorussia i Tatari sono cacciati presto da un popolo baltico, i Lituani. La Bielorussia come etnia a sé nasce così. Separati dagli altri Russi, quelli sottomessi al Granducato di Lituania cominciano a sviluppare una lingua e letteratura leggermente diversa. I Lituani erano pagani, e poi convertiti al cattolicesimo; i Bielorussi restarono ortodossi e non ruppero mai del tutto le relazioni con gli altri Russi. Tra tutte e tre le nazioni forse quella bielorussa è l’identità più debole. Sono i “Russi sotto i Lituani”. Al punto che gli storici hanno parlato di uno stato “lituano-bielorusso”, giacché la lingua slava prende il sopravvento nella stessa amministrazione dello Stato.
Per il resto sopravvivono, come tributari dei Tatari, solo i principati più occidentali, questi presto attratti dall’espansione polacca verso est, e quelli più a Nord, verso la Moscovia. L’Ucraina non esiste ancora, un po’ sotto dominio diretto tataro, un po’ terra di conflitto con Lituania e Polonia (che poi si sarebbero unite tra loro).
Nella Moscovia, invece, pian piano l’elemento russo si riorganizza e reagisce. Mosca toglie a Vladimir il ruolo di sede del Gran Principe, diventa sede di un patriarcato che riunisce tutti i Russi, compresi gli Ucraini e i Bielorussi, scuote il giogo dei Tatari, poco per volta si espande a discapito degli altri piccoli feudatari, costruendo il primo nucleo del futuro stato russo.
Ad ogni modo, la lunga distanza politica tra Grandi Russi e Russi del Sud, o Ucraini, finisce per diventare anche linguistica. I “dialetti ucraini” prendono a differenziarsi leggermente da quelli russi, ma nel quadro di una sostanziale unità spirituale. In realtà ne sappiamo poco, perché per secoli i Russi di ogni nazionalità non scrivono il linguaggio parlato, ma continuano ad usare lo Slavo antico di Cirillo e Metodio usato dalla Chiesa, lo slavonico cioè. Sarà solo Pietro il Grande che ridurrà questa lingua agli usi liturgici e creerà una vera e propria letteratura russa. Ma siamo già alla fine del 1600…
Tra fine ‘400 e metà ‘500 nasce la nazione politica russa come la conosciamo oggi. Il Principato di Mosca, finiti di assorbire tutti i principati vicini, sottomette a Nord la Repubblica di Novgorod, mentre a Sud, dove l’Orda d’Oro era stata sostituita da tre Khanati, sottomette quelli di Kazan e Astrakhan, arrivando al Mar Caspio, mentre il Khanato di Crimea, il cui dominio si estende su tutta l’Ucraina meridionale, si mette sotto la protezione del nuovo potente Impero Ottomano. Popoli Turchi e Finnici della cd. Russia Europea sono sottomessi e integrati. La famiglia Stroganov varca gli Urali e comincia la lenta conquista dell’immensa Siberia.
Si deve ai sovrani Ivan III e soprattutto Ivan IV il Terribile, la costruzione di quello che è ormai l’Impero Russo. Abbandonato il titolo di Principe, il sovrano di Mosca prende quello di Zar, come successore ideale dell’Impero di Costantinopoli, ormai caduto in mano dei Turchi, e dà vita al mito della “Terza Roma”.
È già in questa lontana fase della storia che l’odierno Donbass, interno politicamente all’Ucraina di oggi, è assorbito nell’Impero Russo. Difficile dire, da quelle parti, dove il confine linguistico tra russo e ucraino si trovi oggi o si trovasse allora. Allora, ancora, l’Ucraina non esisteva, ma al più dialetti russi del Sud.
A proposito, che ne era allora del resto dell’Ucraina, tolto il Donbass russo e il Sud sotto dominio tataro e turco? Era stata progressivamente tutta conquistata dai Lituani, ma poi, unita la Lituania con la Polonia, l’Ucraina era stata data a quest’ultima, mentre la Bielorussia resta sempre strettamente integrata con la Lituania. L’Ucraina, quindi, era in pratica sotto dominazione polacca. Un’élite filo-occidentale e cattolica dominava su una massa di slavi, “russi del sud” o “piccoli russi” e ortodossi. Tutto qua.
La Polonia-Lituania era uno stato cattolico e appena tollerava gli ortodossi, ma tentava di ricondurli all’obbedienza al papa. È in questo periodo, in piena lotta europea tra Riforma e Controriforma, che nasce il fenomeno dell’Uniatismo: Ucraini e Bielorussi dell’Ovest mantengono il loro rito slavonico ortodosso, ma rientrano in comunione con i Cristiani dell’Occidente. Leopoli e la Galizia filo-occidentale nascono in questo momento.
L’Ucraina del 1500 è un po’ terra di nessuno, terra di frontiera. Un’onda di colonizzazione russa da Nord strappa alcune terre ai turchi e le popola di cosacchi, di fatto indipendenti e solo lentamente integrati nell’impero. Dopo un periodo di crisi dinastica tra fine ‘500 e primi del ‘600 (la cosiddetta “epoca dei torbidi” con i “falsi Dmitrij”), l’Impero Russo si consolida e “libera” progressivamente l’Ucraina. Schiacciati verso Sud i Turchi, intorno alla metà del 1600 tutta l’Ucraina orientale è riunita alla Russia, fino al Dniepr e Kiev inclusa. L’Ucraina occidentale resta “polacca”. Il confine si consolida nel tempo. Qui nasce il termine “Ucraina” o “terra di frontiera” (frontiera di che? Della Russia ovviamente), che si affianca e poi si sostituisce a quello di “Piccola Russia”. Ma allora aveva un senso molto più ristretto di quello odierno. L’Ucraina è solo la regione di Kiev, quindi il nucleo centralissimo dell’Ucraina di oggi. Anche se ovviamente, da un punto di vista etnico, i dialetti ucraini li avremmo potuti trovare molto più a est, a sud o a ovest. Dialetti, non ancora lingua, giacché nessuno si sognava allora di codificare la lingua dei “Russi del Sud”. Alcuni di questi dialetti, a estremo occidente, addirittura arrivavano al di là dei Carpazi, nella cosiddetta Russia Transcarpatica o Rutenia propriamente detta. I Ruteni, in verità, pare parlino tutt’oggi più che l’Ucraino un dialetto che è il più vicino all’antico slavonico usato ancora nelle chiese ortodosse slave, un fossile linguistico vivente. Ma i Ruteni non hanno MAI fatto parte delle formazioni politiche russe. Al di là dei Carpazi era Regno d’Ungheria propriamente detto, e là, se non si era Ruteni, si poteva solo essere Magiari o, tutt’al più Slovacchi.
Ai primi del 1700 la Zarina Caterina II finalmente conquista la Crimea. La penisola e la costa del Mar Nero è ripopolata di “Grandi Russi”, anche se in Crimea i Tatari restano prevalenti, ma non a Sebastopoli, già città russa. I Tatari sarebbero stati deportati quasi tutti da Stalin, restando solo un po’ nell’interno a formare una regione autonoma (c’è anche da dire che nel referendum del 2014 i pochi Tatari di Crimea e i pochissimi ucraini furono gli unici a votare contro la riunificazione con la Russia). Fu fondato il porto di Odessa. Il Sud dell’Ucraina, o “Novorussija” (Nuova Russia), resta terra linguistica mista tra i preesistenti ucraini, già sottomessi ai Tatari, e i nuovi venuti russi, ma pochi colgono ai tempi la differenza linguistica se non come una differenza dialettale o poco più.
Questo equilibrio permane sino alla fine del 1700, quando lo smembramento della Polonia porta i confini russi molto più ad Ovest. La Polessia, la Podolia, la Volinia, in una parola tutta o quasi l’Ucraina occidentale è ora assorbita dall’Impero Russo, e al contempo lo è anche l’intera Bielorussia.
Solo un paio di province del Sud-Ovest, in queste spartizioni, restano inglobate al contrario nell’Impero Austriaco, rafforzando quindi i legami con l’Occidente. La più importante è la Galizia, con capitale Leopoli, popolata a metà da polacchi e a metà da ucraini uniati. Più piccolina, a est, la Bucovina, metà ucraina e metà rumena, oggi infatti divisa proprio tra Ucraina e Romania.
Ai tempi di Napoleone l’Ucraina è parte integrante della Russia, senza alcuna distinzione etnica. Nel romanzo di Tolstoj “Guerra e Pace” Kiev è un po’ la terza città dell’Impero, dopo Mosca e San Pietroburgo, dove aveva sede l’amministratore dei feudi del Principe Pierre, uno dei protagonisti della storia. Non si ha la sensazione di una contrapposizione tra Russi e Ucraini. È evidente che, da allora, sia accaduta una vera e propria etnogenesi, che merita particolare attenzione.
Intanto una precisazione sui confini. In un ultimo impeto di espansione la Russia sposta ai primi del 1800 il confine dal Dniestr al Prut, inglobando la Bessarabia, regione in gran parte abitata da Rumeni. Gran parte di questa regione poi sarebbe stata trasformata ai tempi dell’Unione Sovietica in “Repubblica di Moldavia” ed è oggi la Moldavia indipendente, tranne una parte all’estremo Nord, abitata da Ucraini, che è stata infatti inglobata con l’Ucraina, e la parte all’estremo Sud, la Bessarabia propriamente detta, anch’essa oggi inglobata nell’Ucraina, ma abitata anche da Romeni e addirittura da Bulgari, ma stiamo parlando appunto di province di frontiera.
L’Ucraina zarista del 1800 è ancora semplicemente una provincia dell’Impero. Ma il XIX secolo è anche il secolo del romanticismo e della scoperta delle nazionalità. La letteratura ucraina (o rutena) ha un certo sviluppo nella parte sotto gli Asburgo, e – per osmosi – si estende alla parte russa. Nasce così la “letteratura ucraina”, come qualcosa in più di una letteratura dialettale, ma ancora meno di una vera e propria letteratura nazionale. Non ci sono ancora vere rivendicazioni politiche, se non di autonomia culturale degli Ucraini dai Grandi Russi.
L’attuale confine orientale tra Russia e Ucraina, molto generoso per i secondi, si forma invece alla fine della I Guerra mondiale.
Ecco, possiamo dire che l’Ucraina, come realtà geopolitica definita, nasce proprio con la I Guerra mondiale. La Russia zarista è sconfitta dai tedeschi. Lenin firma un armistizio molto oneroso: l’intera Ucraina e la Bielorussia, oltre ai Paesi baltici, sono ceduti, più o meno nei confini attuali. Ritirati i tedeschi a seguito della sconfitta, l’Ucraina si dà un governo provvisorio, per la prima volta nella sua storia. Ma ancora è molto legata alla Russia. La Rivoluzione dei Soviet arriva anche là. Si costituisce quindi una Repubblica Socialista Ucraina, che, insieme a quella federativa Russa, alla Bielorussia e alla effimera “Transcaucasia”, danno vita all’Unione Sovietica.
In questo modo da un lato l’Ucraina rientrava nell’orbita russa, dall’altro però con il riconoscimento, del tutto inedito nella sua storia, di una propria statualità e di una propria nazionalità. L’etnogenesi dell’Ucraina comincia qua, con Lenin quindi. Il Leninismo, e poi lo Stalinismo, non può fare a meno della centralità dell’elemento russo nell’intero ex impero zarista, ma deve prendere le distanze da ogni retorica nazionalista ottocentesca. E paradossalmente si deve proprio ai sovietici il concetto di “nazionalità” dell’Unione, tutelate per contrastare l’eccessivo peso della Russia nell’Unione, ma nello stesso tempo controllate, con la presenza di un elemento russo dappertutto, per evitare che la tutela della nazionalità non si trasformasse in potenziale separatismo.
E così, nella geopolitica dei confini interni sovietici, si cerca di valorizzare al massimo la differenza rispetto all’etnia russa. Il confine del 1917 tra Russia e Ucraina, mai storicamente esistito prima, è confermato, perché anche nelle estreme province di Lugansk o Donestk si poteva trovare un 15/20% di popolazione che parlava l’Ucraino, che viene valorizzato come una delle lingue dell’Unione. Del resto questa “autonomia” era alquanto “finta”: si era tutti uniti sotto una dittatura a partito unico. La Crimea, però, dove l’elemento ucraino era trascurabile, restava russa, come una repubblica autonoma (che conteneva al suo interno la regione autonoma dei Tatari), e con Sebastopoli con una amministrazione separata.
Il nazionalismo ucraino, in chiave antirussa, attizzato nella I Guerra mondiale, covava tuttavia sotto la cenere. Del resto tutta la parte occidentale dell’Ucraina era andata alla Polonia. E la Russia transcarpatica era stata sì tolta all’Ungheria di cui aveva da sempre fatto parte, ma era stata data alla Cecoslovacchia come sua punta estrema orientale.
Si è molto parlato dei milioni di morti in Ucraina negii anni ’30 per la crisi economica succeduta alle collettivizzazioni forzate (l’holodomor). A mio parere, però, questo sterminio non fu etnico, ma sociale ed economico. La fertile Ucraina pagò il prezzo più alto all’eliminazione della piccola proprietà contadina, ma non fu l’oggetto deliberato di questo intervento dello stalinismo. Certamente questo contribuì, seppure in maniera minoritaria, a raffreddare ulteriormente i rapporti tra le due etnie.
L’occupazione tedesca durante la II Guerra Mondiale porta alla luce simpatizzanti del nazismo in chiave antirussa. Dopo l’operazione Barbarossa i sovietici abbandonano l’Ucraina, e i neonazisti di Banderas, radicati a ovest, tentano di costruire un governo provvisorio filo-tedesco. È una delle pagine più nere della storia ucraina. I nazisti disprezzano questo alleato, lo incarcerano, trasformano l’Ucraina in un governatorato direttamente occupato dalla Germania. Nella delirante ideologia di Hitler gli Slavi sono “schiavi” designati, servitori del popolo tedesco nella sua espansione verso Est alla ricerca dello spazio vitale. Nondimeno il collaborazionismo antirusso di piccoli gruppi ucraini non si interrompe. Fanno proprie le teorie razziste. Nella loro visione gli Ucraini sarebbero gli slavi veri, indoeuropei puri, mentre i Grandi Russi sarebbero nient’altro che asiatici slavizzati dal punto di vista linguistico, ma mistosangue nella migliore delle ipotesi, e quindi “inferiori”. Questa barbara ideologia sarebbe stata rispolverata, insieme ai simboli, alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991.
Quando ormai in difficoltà i Tedeschi liberano Banderas, che organizza un esercito ucraino per tentare di fermare l’avanzata dei Russi, ovviamente senza alcun successo. L’Unione sovietica non solo recupera tutta l’Ucraina, ma travolge tutto – come noto – fino al cuore della Germania.
Stalin, del resto, non russo neanche lui, stava molto attento a bilanciare i rapporti tra le varie etnie dell’impero sovietico. Deporta i Tatari di Crimea. Favorisce l’espansione verso ovest dell’Ucraina dopo la II Guerra mondiale. Tutti i territori tolti a Polonia, Cecoslovacchia e addirittura Romania (tranne la Moldavia, come si è detto) vanno a ingrandire l’Ucraina, e tra questi territori alcuni che non avevano fatto mai parte della Russia. In questo modo l’URSS confina direttamente con Cecoslovacchia e Ungheria, e può, al bisogno, invaderle senza chiedere permesso a nessuno. Ma di questa espansione è l’Ucraina la principale beneficiaria. Nelle terre ex polacche è pulizia etnica: gli Ucraini, cacciati i polacchi, ne restano unici abitanti. Stalin chiede e ottiene per l’Ucraina (e per la Bielorussia) un seggio all’ONU separato da quello dell’Urss (poco importa che fosse sempre telecomandato). Forte dell’esperienza negativa del nazionalismo ucraino nell’occidente del Paese, impone agli Uniati di Leopoli di rinunciare alla loro chiesa e a riunirsi con gli Ortodossi fedeli a Mosca. Fino alla fine dell’Unione Sovietica i greco-cattolici devono vivere una vita semiclandestina.
Un ucraino, Krusciov, diventa segretario del PCUS poco dopo la morte di Stalin. Questi, forse per campanilismo, forse per motivi logistici, attribuisce anche la Crimea all’Ucraina, ma – trattandosi di un confine interno tutto sommato amministrativo – nessuno ci fa caso.
E così si arriva al 1991. L’Unione Sovietica si dissolve e l’Ucraina, un’Ucraina dai confini artificiosamente allargati all’inverosimile da casi fortuiti della storia, si ritrova per la prima volta indipendente in maniera stabile. Addirittura eredita parte dell’arsenale nucleare sovietico, che baratta con la Russia qualche anno dopo in cambio della sicurezza. Tutto sommato, se lasciata a se stessa, senza pressioni esterne, questa rinascita, o nascita, della Nazione Ucraina, andrebbe salutata con favore. Ormai la distanza dalla Russia era tale da poter parlare di una Nazione a sé, seppure con una minoranza russofona fortissima, e, a Est e in Crimea, addirittura maggioranza.
Il resto penso che il lettore lo sappia meglio. Le pressioni occidentali per usare l’Ucraina in modo da destabilizzare la Russia sono crescenti nel tempo. È ucraina l’invenzione della “Rivoluzione Colorata”, cioè di un radicale regime change, sponsorizzato dalle massomafie globali. L’Ucraina resta in bilico tra Russia e Nato per anni, diventando sempre più povera e lacerata al proprio interno. Il neonazismo dilaga in alcune province, così come l’irredentismo filorusso in altre. Il governo “colorato” della Timoshenko acuisce queste tensioni.
Libere elezioni portano al potere un partito filorusso, il “partito delle regioni” di Yanukovich, che tenta di tenere il paese insieme su una base potenzialmente federalista, e ripristinando buone relazioni con i Russi.
A questo punto, interviene qualcosa in più che una Rivoluzione Colorata: è il colpo di stato di Euromaidan del 2014. La parte più “europeista” e “atlantista” del Paese prende il sopravvento e si integra sempre di più con l’Occidente. La Crimea si stacca e si riunisce alla Russia, le due province del Donbass proclamano l’indipendenza, ma su gran parte del loro territorio ritorna la giurisdizione ucraina. La guerra resta strisciante per anni. I cosiddetti Accordi di Minsk non sono mai rispettati, e va detto che non lo sono per la responsabilità principale proprio del Governo di Kiev.
L’Ucraina diventa sede di laboratori di armi chimiche e batteriologiche proibite, manifesta l’intenzione di aderire alla Nato e di riconquistare con la forza le province ribelli. La tensione sale di giorno in giorno.
La Russia a un certo punto dà un ultimatum: restate neutrali, riconoscete l’indipendenza del Donbass e l’appartenenza alla Russia della Crimea. L’Occidente non risponde. Poi l’aggressione al Donbass e infine la guerra.
Riassumendo: chi ha torto o ragione secondo la storia?
Putin in una cosa ha torto, quando ritiene lo Stato di Ucraina un accidente della storia, una nazione inesistente. A differenza del 2014, ormai la società ucraina si è in gran parte radicalizzata ed ha coscienza di essere nazione a sé. In questo senso il discorso di Putin non ci convince. In astratto l’Ucraina ha diritto di vivere indipendente e dentro confini sicuri. Questo va detto.
Detto questo, però, sono vere anche altre cose, di segno opposto:
- Ucraina, Russia, e Bielorussia, hanno un’origine realmente comune e hanno legami così stretti da essere quasi la stessa cosa, per cui non ha senso pensare che possano vivere contrapposte l’una all’altra; in altre parole fanno parte di un’unica “zolla” geopolitica, destinata a stare insieme in qualche modo;
- i confini post 1991 sono davvero artificiali; si sarebbero potuti rispettare, certo, ma l’Ucraina avrebbe dovuto dimostrare tolleranza e rispetto per l’Autonomia delle Regioni a maggioranza russofona; per sua natura l’Ucraina dovrebbe avere un ordinamento decentrato e regionalista, e non un centralismo nazionalista;
- la Crimea, oggettivamente, con l’Ucraina non c’entra nulla o quasi; se la sono giocata nel 2014 e non c’è più nulla da fare;
- è pazzesco pensare che l’Ucraina possa ospitare armi straniere finalizzate all’attacco alla Russia, o alla sua destabilizzazione, e non solo un armamento convenzionale per la propria difesa;
- è inaccettabile che si usino ancora simboli e ideologie del nazismo ucraino;
- è inaccettabile che i moltissimi russi dell’Est e del Sud restino cittadini di Serie B, con la proibizione persino di parlare in russo.
In tutto ciò la ragione è certamente dalla parte dei Russi e la risposta al loro “eccesso di difesa” non può essere quella armata. Proprio perché ci teniamo che l’Ucraina non sia cancellata dal novero delle nazioni libere (e speriamo un giorno che la Sicilia possa raggiungere questo status), bisogna soltanto accettare le richieste della Russia, che appaiono in massima parte accettabili, anzi, vitali per la propria esistenza.
Ogni altra scelta, a mio modesto avviso, è suicida per Kiev.
Segui l’autore di questo articolo su Telegram.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!